Mi chiamo Baobab, sono un giovane ragazzo maliano e vivo in Italia da non molti anni.
Quando sono arrivato a Milano ho seguito un percorso di accoglienza e ho ottenuto un permesso di protezione internazionale. Dopo aver ottenuto il permesso, sono andato ad uno SPRAR e qui ho fatto molta formazione, sia per imparare l’italiano sia per diventare un mediatore-culturale.
Attualmente lavoro in un centro per i profughi come mediatore. Finora ho avuto dei contratti per brevi periodi ma penso che presto mi faranno un contratto a tempo indeterminato perchè sono bravo in quello che faccio, so fare il mio lavoro. Ad altri ragazzi non hanno rinnovato il contratto ma a me sì; inoltre so che possono rinnovarlo fino ad un anno e poi per legge o mi assumono o mi lasciano a casa. Io sono ottimista perchè conosco il lavoro e penso che loro contino su di me.
Nel mio posto di lavoro quando è scoppiata l’emergenza all’inizio è stato molto pesante ma ci siamo subito attrezzati per combattere questo virus. Gli ospiti sono stati ridistribuiti in più luoghi per assicurare le misure di distanziamento sociale. Il centro ha fornito a tutti gli operatori i dispositivi di protezione individuale, mascherine, guanti, gel, e noi li abbiamo forniti agli ospiti. Da quando è scoppiata questa emergenza è cambiato completamente il modo di lavorare. Abbiamo fatto tantissime riunioni e tradotto in diverse lingue dei foglietti informativi sul corona virus che sono stati attaccati all’entrata in modo tale che tutti potessero capire bene quello che stava succedendo e come si dovevano comportare quando andavano a lavorare o a comprare qualcosa.
Anche la vita all’interno del centro è cambiata: abbiamo organizzato gli spazi in modo tale che i ragazzi possano rispettare la distanza di un metro quando vengono a prendere i pasti ed entrano uno alla volta quando vengono a firmare la sera. Stiamo cercando di lottare contro questa pandemia, abbiamo vissuto sotto molta pressione la quale ha generato uno stress che è poi scoppiato quando abbiamo avuto un caso.
Un giorno un ragazzo del centro ha detto di non sentirsi bene, che gli faceva molto male il petto. Noi non abbiamo pensato che potesse essere il corona virus ma, dopo un po’ abbiamo chiamato l’ambulanza. I soccorritori, dopo aver provato la temperatura, che era più di 38, hanno portato via il ragazzo. I responsabili del centro hanno fatto sanificare tutta la struttura, sono stati davvero molto bravi!
Quando il ragazzo è stato trovato positivo, tutti noi eravamo molto stupiti, non ce lo aspettavamo proprio. I suoi compagni di stanza sono stati mandati in un altro spazio per fare la quarantena. Da quel momento in poi, molti operatori si sono spaventati per la paura di essere contagiati. Il lavoro è diventato molto più pesante. È faticoso parlare con tanti ragazzi tutti di nazionalità diverse e spiegarli tutto quello che c’è da sapere di importante sul corona virus, sia per prevenirlo sia per sapere cosa fare in caso di malattia; è necessaria molta più mediazione di prima: bisogna fargli capire, capire, capire bene. Adesso sono stati assunti dei nuovi operatori e la situazione va meglio. Sento che grazie al mio lavoro ho delle informazioni corrette e so come mi devo comportare, si sentono tante cose in giro che non sono vere.
Io abito insieme alla mia compagna, che è italiana. Lei fa l’impiegata in una ditta e in questo periodo lavora in smartworking. È cambiata molto la nostra routine da quando è scoppiata l’emergenza: facciamo sport insieme a casa e abbiamo imparato delle nuove ricette del mio paese. Ha cucinato un piatto tipico maliano che non aveva neanche mai provato! Si chiama Yassa, è un riso bianco con sugo di cipolla e le è venuto molto buono. Ci diciamo spesso che siamo fortunati ad averci l’un l’altro in questa situazione tremenda. Per quanto riguarda la mia vita sociale la verità è che non uscivo molto neanche prima, mi piace stare a casa a riposarmi; quindi adesso che non si può uscire neanche volendo non ho sentito un grande cambiamento! I miei amici sono quelli con cui sono arrivato in Italia e sono tutti sparsi per l’Europa, Francia, Germania, Spagna, o sono in altre città italiane. Sono abituato a non vederli e non è facile farsi dei nuovi amici.
La cosa che più mi preoccupa è la situazione del mio paese, il Mali. All’inizio la mia famiglia si è molto preoccupata per me sentendo le notizie sull’Italia. Sapevano che qui il virus era molto forte, che c’erano tanti morti e io ho cercato di rassicurarli. Poi però il virus è stato scoperto a fine marzo anche in Mali e, a quel punto, mi sono preoccupato io per loro. Abbiamo iniziato a preoccuparci a vicenda!
Nel mio paese se non mi sbaglio i casi non sono neanche 100, niente di paragonabile a qui, ma è difficile capire le notizie. Anche se i casi non sono tanti, all’inizio specialmente a me capitava di andare fuori di testa sentendo le comunicazioni. Penso spesso a mia mamma che è anziana e soffre di altre patologie. Se il virus si diffonde in Mali è un macello. Qui in Italia, alla fine ci sono possibilità di guarigione e io oltretutto sono anche giovane quindi non sono preoccupato per me. Sono solo preoccupato per mia mamma e i miei famigliari giù.