Mi chiamo Lalo e vengo da una città in Perù in cui c’è tanto sole. Ho una famiglia numerosissima, una parte è in Perù e un’altra vive qui in Italia, abbiamo radici italiane perchè la mia bisnonna era italiana. Ormai siamo qui da così tanto tempo che abbiamo tutti preso la cittadinanza italiana e almeno non dobbiamo più preoccuparci di andare in questura!
Quando sono arrivato in Italia, quasi vent’anni fa, ho lavorato facendo un po’ di tutto, facendo le pulizie o lavando i piatti nei ristoranti, insomma quello che capitava. Dopo qualche anno, ho iniziato a lavorare a domicilio con le persone anziane e da lì in avanti sono sempre rimasto in questo settore. Oggi lavoro come operatore socio-sanitario in una casa di riposo e ho un contratto a tempo indeterminato. Amo quello che faccio, per me è bello poter aiutare le persone che hanno bisogno, ci metto tutto il mio cuore. La struttura è vicina a dove vivo, quindi in passato sono spesso andato al lavoro in motorino. Dopo aver fatto due incidenti però, l’ho abbandonato e adesso mi sposto in bici oppure a piedi.
Quando è iniziata la pandemia è stato molto difficile: nella nostra struttura non c’erano le mascherine perchè dal governo non arrivavano. Io per fortuna ne avevo alcune a casa e quindi ho iniziato ad indossarle. Ma al lavoro mi chiedevano perchè la mettessi e io mi sono dovuto giustificare dicendo che avevo raffreddore e mal di gola. Mi sono dovuto proteggere da solo! Quando ho iniziato ad avere mal di testa, ho deciso di restare a casa e ho chiamato il mio medico, il quale mi ha messo in malattia per una settimana. In quei giorni poi è uscita una legge secondo cui si il tampone doveva essere fatto a tutti gli operatori e quindi non sono più potuto rientrare fino a che non me lo hanno fatto. Nel frattempo nella casa di riposo, piano piano, in maniera silenziosa, tutti gli anziani hanno iniziato a contagiarsi, uno, due, tre… i dottori hanno cominciato a trasferire i reparti e il virus si è propagato quasi in tutta la struttura.
Io sono stato a casa per tutto il mese di aprile e penso di aver contratto il virus in forma lieve. Non ho avuto paura perché mi sentivo bene, mangiavo e non ho mai avuto sintomi respiratori gravi. Sono rimasto un mese chiuso nel mio monolocale e il tempo è trascorso facendo ginnastica e informandomi su quello che succedeva, in tv o attraverso internet, per fortuna ho internet! Sono stato molto tranquillo in quelle settimane, tanto che i miei vicini mi hanno detto che pensavano che non fossi neanche a casa! Nel frattempo, come me, altri miei colleghi si sono ammalati. Abbiamo preso praticamente tutti il Coronavirus! A lavorare è rimasto un quarto del personale. Chi ha lavorato in quel periodo mi ha raccontato degli anziani che si lamentavano per i dolori… I miei colleghi li vedevano e li sentivano soffrire e alla fine li hanno visti morire. È stata una tragedia. Quando sono tornato alla casa di riposo a inizio maggio, dopo aver fatto un tampone che è risultato negativo, la situazione che ho trovato era molto diversa da quella che avevo lasciato.
I cambiamenti al lavoro… Beh. Come prima cosa, quando sono rientrato più della metà degli ospiti non c’era più. Tornare e non trovare le persone a cui ti eri affezionato è stato doloroso, ho provato tanta nostalgia. Con gli anziani rimasti, invece, il lavoro è diventato molto più affettuoso di prima, perché durante le videochiamate con i parenti spesso si mettono a piangere, non capiscono perché non ricevono visite come prima e quindi hanno bisogno di molta più vicinanza emotiva. Adesso vedono noi operatori come i loro nipoti, fratelli, sorelle. Per quanto riguarda i dispositivi di protezione, dato che prima non li avevamo adesso sembriamo tutti degli astronauti! Siamo vestiti dalla testa ai piedi con delle tute che ci mettiamo quando arriviamo e teniamo per tutto l’orario lavorativo, dalle 7 alle 14. Non facciamo alcuna pausa, né per bere nè per mangiare, perchè ci hanno detto che ci dovremmo togliere le tute e poi rimetterle e questa operazione aumenta il rischio di contagio, quindi abbiamo paura. Per di più ci vogliono quindici minuti a spogliarsi e quindici minuti a rivestirsi! Insomma, non lo facciamo e per adesso va bene così, ma sono preoccupato per quando arriverà l’estate. Quelle tute sono politermiche e farà caldissimo. Io mi sento molto strano ad indossarle al posto della mia solita divisa, entrare nelle camere degli ospiti e farsi vedere così da loro è una cosa che mi pesa sul cuore. Loro spesso chiedono come mai siamo vestiti così e menzionano il coronavirus, noi cerchiamo di rassicurarli spiegando che lo facciamo per proteggerli, si calmano un pochino anche se tanti non capiscono e si deve avere molta pazienza.
Nei miei spostamenti non ho mai avuto problemi, ho sempre con me l’autocertificazione che mi hanno fornito in struttura e indosso sempre guanti e mascherina quando esco di casa. I poliziotti non mi hanno mai fermato, mi vedono e lo sanno che vado al lavoro secondo me. Loro sanno chi lavora e chi no e quando mi vedono mi lasciano andare via, anche perchè ho sempre avuto tutti i dispositivi con me.
Questa pandemia ha completamente cambiato la mia prospettiva di vita, sapere che tante persone sono morte e stanno morendo, tante stanno soffrendo per aver perso la mamma, il papà, lo zio…. ho capito che la salute è la cosa più importante e che bisogna sempre cercare di essere gentili con gli altri, accompagnare chi ha bisogno e dare sostegno morale e appoggio. Molti colleghi, già prima di questa esperienza, erano miei amici, andavamo a mangiare fuori una pizza ogni tanto, ma adesso siamo diventati molto più uniti di prima, siamo più comunicativi. Inoltre adesso condividiamo anche la preoccupazione per il futuro, perché se nella struttura siamo quasi più lavoratori che anziani cosa succederà? Prevediamo che la situazione diventerà grave, lavoreremo meno ore, qualcuno verrà mandato in ferie forzate, altri in cassa integrazione. La cosa ci preoccupa e questo ci ha unito molto. Non conosco nessuna associazione che fornisce degli aiuti, non saprei a chi rivolgermi. Ho sentito che ci potrebbero essere degli aiuti da parte dello stato, dei bonus, ma non ne so molto. Per adesso la mia situazione economica è stabile ma nel futuro non lo so, c’è tanta incertezza. Per adesso anche i miei famigliari stanno bene, non hanno avuto neanche loro problemi economici perché molti di loro, lavorando nei supermercati, non hanno mai smesso.
Con la fase due sento che dobbiamo stare sempre molto allerta, siamo noi a dover prevenire la diffusione del virus, che non si vede, non si sente, arriva e basta. Il governo ha fatto tante cose che non sono servite a contenere ma anzi, hanno aumentato ancora di più il contagio, sappiamo tutti quello che è accaduto nel Nord Italia… quindi io sono dell’idea che tutto dipende da noi, da come noi ci comportiamo, se tutti facciamo quello che si deve allora andremo avanti, altrimenti torneremo indietro. La tutela non la fa il governo ma la fa ognuno di noi, tocca a noi proteggerci, non dipende dal presidente. La cosa più importante è non abbassare la guardia, continuare a lottare, perché non sappiamo fino a quando durerà.
Quando è scoppiata la pandemia in Italia la mia famiglia in Perù era molto preoccupata per me e per tutta la parte di famiglia che vive qui. Ci hanno detto subito: “tornate, tornate!” ma io ho risposto loro che non potevo partire sia perché non c’erano i voli sia a causa del mio lavoro. A quel punto mi hanno chiamato tanti parenti: “curatevi, proteggetevi!”, erano tutti molto spaventati, e io, siccome sono l’unico che parla con tutti, ho cercato di tranquillizzarli. Questo è successo finchè il problema è stato circoscritto all’Italia ma ora che il coronavirus ha raggiunto il Perù e ci sono stati moltissimi casi anche lì diciamo che non trasmetto paura a loro e loro non la trasmettono a me. Per adesso hanno la quarantena fino alla fine di maggio poi vedremo. Un giorno mi piacerebbe tornare in Perù, sto costruendo una casa laggiù, l’Italia mi ha dato tutto e le sarò sempre grato ma la mia prima casa è il Perù.