Mi chiamo Raimunda, sono peruviana e vivo in Italia da più di dieci anni. Sono venuta in Italia perché c’era già qui mia sorella, è stata lei il mio primo appoggio. Sono arrivata come turista e poi grazie alla sanatoria del 2009, siccome stavo lavorando, mi sono messa in regola. Ho pregato Dio che mi aiutasse con i documenti e l’ha fatto. Adesso ho un permesso di soggiorno che si rinnova ogni due anni. Qualche anno fa sono riuscita a fare il ricongiungimento familiare e ho portato mia figlia qui e viviamo insieme. Adesso lei ha venticinque anni e studia all’università, ha appena avuto un bambino!
Io lavoro come badante con gli anziani. È pesante lavorare come badante perché gli orari sono molto lunghi. In questo momento mi occupo di due persone. È la prima volta che mi occupo di una coppia ed è davvero difficile, mi sono sempre occupata di persone singole in passato, mai di una coppia. Per di più, questa coppia è originaria di un’altra regione e si è appena trasferita qui. Uno dei due figli voleva avere vicino i suoi genitori. Mi ha fatto un contratto di lavoro prima che loro arrivassero in città e quando sono arrivati ho iniziato immediatamente, senza neanche un’intervista o una settimana di prova. È stata dura! Essendo in due tutto è più complicato, per esempio uscire: come faccio ad organizzarmi per uscire con uno di loro, l’altro dove lo lascio? E uscire con entrambi non è possibile. Il trasferimento poi li ha spaesati, spazi diversi, abitudini nuove, cibo diverso. Sono entrati in crisi, tutto era un disgusto continuo per loro, mi chiedevano di comprare delle cose al supermercato che non c’erano e non sapevo cosa fare! Poi è arrivato il coronavirus e la situazione è diventata anche più difficile. Io lavoro 54 ore alla settimana, dal lunedì al venerdì dalle 8 del mattino fino alle 10 di sera ma al pomeriggio ho delle ore di riposo, e lavoro anche il sabato, ma solo mezza giornata. Quando è arrivato il coronavirus è cambiato tutto. È stato molto pesante al lavoro e sono diventata triste ma ho cercato di essere forte. La mia vita è diventata solo entrare e uscire dal supermercato ed entrare ed uscire dal lavoro. La coppia di anziani ha due figli: uno vive qui vicino ma viene a trovare i genitori solo per dieci minuti ogni tanto, l’altro invece non vive nella nostra regione e quindi, a causa delle restrizioni, non è potuto venire. Alcune notti i signori non dormivano, quindi il figlio dormiva con loro e io tornavo la mattina alle 8, mentre altre volte ci dormivo io. Siamo andati avanti così per un po’ di tempo, ma dopo il sistema è cambiato perché il figlio ha deciso che ci doveva essere sempre la stessa persona di notte. All’inizio ci sono stata io ma la cosa mi ha pesato davvero tanto e adesso c’è un’altra signora. Ci siamo conosciute di recente perché ci sono stati dei problemi nell’organizzazione, non ci avevano presentate.
Il primo lockdown è stato davvero brutto ma per fortuna ho continuato a lavorare. So che ci sono stati degli aiuti da parte del governo però non conosco nessuno che li ha chiesti. Io non ne ho avuto bisogno. Il figlio della coppia mi ha sempre dato l’autocertificazione e quindi uscivo per andare a fare la spesa sia i signori che per mia figlia, che con un bambino appena nato aveva bisogno di aiuto. Le prime tre settimane di lockdown mi hanno ricordato terribilmente le prime tre settimane che ero arrivata in Italia, più di dieci anni fa: avevo tantissima paura, non volevo uscire, non volevo prendere l’autobus. All’epoca superare quel periodo è stato davvero difficile. Durante il lockdown io uscivo dal lavoro alle 10 di sera per tornare a casa da mia figlia e non incontravo nessuno; guardavo avanti, guardavo indietro e non c’era nessuno. Casa mia dista mezz’ora da dove lavoro e facevo sempre una camminata perché avevo paura del contagio sui mezzi pubblici. Non c’era nessuno in strada. Nessuna voce, silenzio assoluto, come in un cimitero. La mattina almeno ci sono le persone che portano fuori il cane ma la sera invece nessuno. Quando arrivavo a casa mi toglievo tutti i vestiti e mi disinfettavo, mia figlia mi chiedeva come stessi e le rispondevo che stavo bene. Non volevo trasmetterle la mia paura e la mia tristezza ma pensavo invece “per fortuna sono a casa! Dio mio sono arrivata!”. Ho provato le stesse emozioni che sentivo durante gli ultimi anni di terrorismo in Perù, quando vedevo le bandiere nere sui colli che indicavano che la polizia stava andando a disattivare qualche ordigno. A quell’epoca alle 7 e mezza di sera non c’era nessuno in giro. L’unica salvezza durante il lockdown è stato mio nipote, lui mi dà allegria e passo tutto il mio tempo libero con lui! Il problema adesso è che il mio ricongiungimento familiare sta per scadere e mia figlia non ha il permesso di soggiorno; non le arriva e, senza permesso, non può fare i documenti per mio nipote.
Non conosco nessuno che si sia contagiato. Adesso con questa fase due dobbiamo stare attenti, ci vuole responsabilità. Se avessi la febbre non mi spaventerei, può essere anche influenza dopo tutto. La cosa che mi confonde molto è che le persone possono essere asintomatiche perché io penso che se una persona ha il virus ha dei sintomi (febbre, tosse, mancanza di appetito). Se stessi male io chiamerei il mio medico di base.
In Perù per fortuna tutta la nostra famiglia sta bene. La gente però lì si comporta male, danno la colpa al presidente ma sono loro a non aver capito quanto è pericolosa questa situazione.