Mi chiamo Ricardo, sono ecuadoregno e sono in Italia da più di vent’anni. Sono un operatore sociosanitario da tantissimi anni. Sono risultato positivo al virus un mese fa, mi sono ammalato sul mio posto di lavoro.
Lavoro in un reparto di riabilitazione, che è stato abilitato ad accettare pazienti provenienti dalle strutture ospedaliere e che erano stati dimessi per dare spazio alla terapia intensiva. Quando abbiamo iniziato ad accogliere le persone dalle strutture esterne, ci avevano detto che questi pazienti erano negativi ai due tamponi, ma per precauzione la Regione Lombardia ha dato predisposizione ad utilizzare le tute protettive che si chiamano dispositivi di protezione individuale. Purtroppo, alcune di queste persone in realtà erano positive, e alla fine tutti i pazienti del reparto sono stati contagiati.
Io avevo già scelto di vivere fuori da casa mia, per proteggere la mia famiglia; attualmente vivo in appartamento da solo. Dopo il mio ultimo turno, mi sono sentito un pochino strano e cominciavo a sentire dei dolori, ma la cosa peggiore è che mi è salita la febbre di colpo a 39°.
Così ho avvisato il mio medico che mi ha detto di prendere la tachipirina, ma non avevo solo la febbre, anche diarrea e poca voglia di mangiare.
Nonostante tutto, il medico continuava a dirmi di prendere solo la tachipirina, avevo dei dolori al petto e lui, invece di aiutarmi, mi stava mettendo in uno stato di ansia, questo stato di ansia ha provocato anche la mancanza di fiato. Così ho chiamato l’ambulanza e ho spiegato che lavoravo in una struttura dove c’erano dei malati positivi Covid, così mi hanno mandato un’ambulanza predisposta per il trasferimento di malati covid.
Sono stato in ospedale una giornata intera, nella quale mi hanno fatto tampone, ecografia, lastre, per valutare le mie condizioni e per capire se dovessi essere ricoverato.
Alla fine mi hanno mandato in isolamento nella casa dove mi ero già spostato a vivere e ho iniziato il percorso di guarigione. Il medico dell’ospedale mi ha detto di evitare la tachipirina o il paracetamolo perché quelle medicine invece di aiutarmi stavano confondendo il mio corpo.
Come misura preventiva, anche se mi è stato detto che avevo ormai superato il picco della malattia, mi hanno indicato di prendere un antibiotico, a livello palliativo.
Nel frattempo, la febbre era sparita e così anche i dolori alle articolazioni e il respiro è tornato normale. Successivamente mi hanno fatto un secondo tampone e aspetto i risultati, se sarà negativo dovrò farne un terzo che confermi il secondo.
Durante la giornata trascorsa in ospedale mi hanno chiesto se volessi donare un po’ di sangue, per sapere se i miei anticorpi si erano sviluppati. Faranno uno studio in università e spero possa servire a qualcuno. A me ha fatto piacere farlo, spero ne venga fuori qualcosa di positivo. La malattia ti fa reagire e ti fa chiedere: come posso aiutare gli altri? Se non l’hai mai fatto prima adesso è il momento di farlo!
Mi piace molto il mio lavoro, questa esperienza mi ha fatto voglia di tornare più forte di prima così da aiutare altri pazienti.
Dopo essere riuscito ad ottenere il permesso di soggiorno ho fatto un corso per diventare operatore sociosanitario, e mi hanno assunto nel posto dove ho fatto il tirocinio e dove attualmente lavoro. Dopo poco tempo sono stato promosso al lavoro. Da quando lavoro, in tutti questi anni sono mancato solo sette giorni al lavoro. Attualmente sono in infortunio, ma continuo ad avere uno stipendio. Anche mia moglie lavora nel mio stesso settore, e anche lei è rimasta a casa per problemi nella sua struttura ma economicamente stiamo bene.
Riguardo alla salute, la mia famiglia sta bene, hanno avuto un po’ di febbre ma non penso sia legato al Coronavirus. Lavorando nell’ambito sanitario ci hanno dato la documentazione da presentare in caso ti fermino per strada, quindi non ho paura di essere fermato.
Ho due figli, uno lavora e l’altro va alle superiori. Per fortuna la nostra casa è abbastanza spaziosa.
Il piccolo è tranquillo anche se hanno chiuso le scuole e noi siamo sollevati così non si può ammalare. Inoltre, riusciamo a controllarlo di più, nel senso di fare i compiti e studiare, e poi ha un fratello più grande che lo può aiutare.
Mio figlio grande sta lavorando in smartworking, mentre il piccolo fa lezioni online e continua a frequentare le sue amicizie in maniera tecnologica; le sue amicizie sono più digitali che personali.
Le lezioni online stanno migliorando, vanno molto meglio rispetto a quanto si aspettassero.
I miei figli sono molto uniti, si divertono di più, perché possono giocare al computer, lo facevano già prima ma con questa quarantena si sentono più fortunati nel poter stare insieme.
Per mia moglie invece è un piccolo incubo perché deve fare molte più cose, vorrebbe tornare al lavoro al più presto.
Rispetto alle misure prese dal governo e la chiusura di molte attività, penso che sia giusto, ma l’economia di molte persone si basa sul lavoro e molte famiglie stanno subendo disagi. Non conosco nessuno che abbia usufruito di aiuti pubblici. Innanzitutto c’è pochissima informazione.
Conosco molte persone che lavorano come colf o badanti e la verità è che tanti di loro sono stati lasciati a casa senza stipendio e non hanno nessun aiuto, almeno non in Lombardia. Anch’io ho lavorato come badante un anno prima di iniziare a lavorare come operatore sociosanitario, e quell’esperienza mi ha formato molto, mi ha fatto trovare la pazienza che avevo perso, la persona che curavo mi ha insegnato l’italiano.
Gli unici che ti aiutano e ti danno qualche informazione sono i CAF, da cui mi reco per fare la mia assicurazione lavorativa. Loro ti fanno conoscere tutta la documentazione, tutte le agevolazioni, ma poi quelli che davvero ne usufruiscono sono relativamente pochi.
Sono venuto in Italia perché mio fratello mi aveva detto che mi avrebbe trovato lavoro, io ero un meccanico in Ecuador e qui sono finito a fare tutt’altro. Nel frattempo, ho fatto famiglia qui in Italia.
Nel mio paese la situazione è critica, i miei amici mi raccontano che la situazione economica è un disastro e che gli aiuti stanno finendo solo in tasca ai politici. La gente non capisce che la malattia è una cosa che veramente fa male. A Guayaquil ci sono stati parecchi morti che si potevano anche evitare.