Mi chiamo Tatiana. Sono nata in Colombia.
La prima volta che sono venuta in Italia è stato nel 2004 per motivi di studio. Mi ero iscritta ad un Master a Bologna in relazioni internazionali e, quando l’ho concluso, sono rientrata in Colombia. Mi ero però innamorata di un italiano e quindi sono ritornata, ci siamo sposati e abbiamo avuto una figlia. Con l’arrivo della bambina mi pesava il fatto di non avere qua la mia famiglia; inoltre, in Colombia stavano iniziando le trattative di pace e quindi abbiamo deciso di trasferirci. Là ho iniziato ad avvicinarmi al tema delle vittime del conflitto colombiano all’estero e, quando abbiamo deciso di tornare a vivere qui, sono stata coinvolta in un progetto per raccogliere le storie di queste vittime.
La mia vita prima della pandemia era molto movimentata: mi occupavo di fare interviste alle vittime in tutto il Nord Italia e quindi ogni due o tre giorni mi spostavo. Io e mio marito ci siamo lasciati ma abbiamo la custodia condivisa di nostra figlia e quindi riuscivo a muovermi liberamente, a fare volontariato e ad avere una vita sociale piena e soddisfacente. Ero sempre fuori casa!
La cosa per me più difficile durante la pandemia è stata la gestione di mia figlia. Suo padre ha continuato a lavorare in smartworking, in realtà una trappola viste le ore che ha dovuto lavorare, mentre io mi sono occupata di nostra figlia. Il fatto di non avere una rete famigliare di supporto e che la scuola elementare online di fatto sia stata inesistente ha pesato davvero tanto sulla nostra vita. All’inizio, quando la didattica a distanza non era stata ancora attivata, i maestri avevano compensato con una quantità di compiti assurda che mi ha portato a dedicarmi quasi completamente a mia figlia, trascurando il mio lavoro. Un’altra cosa davvero difficile è stata la crescente angoscia di mia figlia rispetto a questa pandemia. Ha capito che questa situazione riguardava anche i suoi cugini e amici oltreoceano e si è iniziata a preoccupare tantissimo, non dormiva più e io anche, di conseguenza. Io ho cercato di leggere ed informarmi per capire come gestire questa sua ansia ma è stata dura. Però, mi rendo anche conto che siamo state fortunate perché il nostro appartamento ha un balcone e quindi potevamo uscire e avere il cielo blu sulla testa. Tutto questo mi ha fatto realizzare davvero l’importanza della scuola nella vita dei bambini ma anche nella mia vita, perché mi permette di non ridurre tutto il mio essere al ruolo di madre.
Ho cercato di portare avanti il mio lavoro e di finire la stesura della tesi di un altro Master a cui mi sono iscritta… insomma mi svegliavo alle 4 del mattino per riuscire a fare qualcosa! Ad un certo punto però è stata una questione di sopravvivenza e ho detto a mia figlia che avevo bisogno di dormire. Devo dire che da quel momento sono riuscita a recuperare le energie necessarie anche per prendermi meglio cura di lei.
Per quanto riguarda la scuola… penso che questo settore sia davvero stato lasciato indietro. La scuola di mia figlia è stata tra le prime a sviluppare la didattica a distanza per i più piccoli, ma nessuno era preparato, né gli insegnanti né i genitori che, per esempio, a casa avevano solo il cellulare. E far seguire una lezione dal cellulare ai più piccoli è davvero un’impresa! Abbiamo cominciato la didattica a distanza qualche settimana dopo il lockdown con quaranta minuti ogni giorno ma, dopo l’entusiasmo iniziale, devo riconoscere che è stato sempre più faticoso. La scuola è lo spazio in cui i bimbi socializzano e se la vedono da soli con compagni e insegnanti ma così, online, in realtà ci sono anche tutti i genitori connessi che partecipano più dei figli e delle figlie! Ovviamente, sono praticamente tutte mamme o babysitter. La cosa positiva, però, di questa pandemia è che ha permesso a noi genitori di iniziare a dialogare per davvero: all’inizio era solo per protestare e lamentarci ma, adesso che abbiamo capito che quello che vogliamo non arriverà tanto presto, abbiamo iniziato ad organizzarci tra di noi, a pensare a degli spazi di ricreazione per i nostri figli e le nostre figlie. Per esempio, c’è chi insegna a fare dei biscotti, chi insegna la cura dei capelli, il fisico che magari fa un piccolo esperimento, io che posso parlare della cultura della legalità ai più piccoli. Insomma si è creata partecipazione anche nel corpo dei genitori e sono molto contenta di questo. Adesso quello che mi preoccupa è che a settembre la scuola ricominci un po’ in presenza e un po’ a distanza con gli stessi metodi tradizionali e rigidi di prima: non si può pensare solo alle lezioni frontali, c’è bisogno di coinvolgere i bambini di più!
La mia condizione economica è molto precaria: nel progetto che sto svolgendo vengo pagata per ogni intervista che faccio ma non ho la partita iva. Da quando è iniziata la pandemia ho fatte pochissime interviste perché non si possono fare online interviste del genere… con persone che hanno storie così dolorose da raccontare. Diciamo che, per fortuna, ho una piccola rendita che mi arriva dalla Colombia e che ci permette di sopravvivere. Con l’affitto di questa casa ero riuscita a portarmi avanti fino a luglio e quindi non mi sono dovuta preoccupare di quello. Ma di certo le cose non possono continuare così a lungo perché altrimenti l’impoverimento sarà drammatico. Non ho potuto chiedere nessun aiuto economico allo Stato perché purtroppo, non essendo legalmente separata da mio marito, io rientro ancora nel suo ISEE. Ho fatto presente questo problema al mio avvocato e mi auguro che si risolva presto.
Questa fase nuova un po’ mi spaventa, mi sembra troppo condizionata da interessi economici e forse prematura. Mi sembra che l’unica libertà che importa sia quella di essere dei consumatori e che ci vogliano rimettere nel mondo lavorativo solo per farci guadagnare e poi spendere. Mi auguro che oltre a tornare a lavorare ci siano delle alternative culturali che ci permettano di recuperare la socialità vera. Spero che vada tutto bene perché se si aggravasse la situazione il personale medico non riuscirebbe a resistere.
Rispetto al virus in sé diciamo che conosco solo una persona che si è ammalata ma per fortuna non ha avuto complicazioni particolari nonostante l’età. Io e mia figlia siamo sempre state molto caute e siamo uscite il meno possibile. Ho usato tutte le soluzioni possibili di consegna a domicilio e, ogni tanto, ho chiesto a qualche amico di comprarmi le cose di cui avevo bisogno. Però, puoi chiedere questo una o due volte e quindi un giorno ho detto a mia figlia che saremmo uscite. Lei era terrorizzata, è stato difficilissimo convincerla a vestirsi per uscire dopo mesi che le dicevo che non potevamo. Adesso, con questa nuova fase, abbiamo scoperto una stradina vicino a casa che conduce nei campi dove non c’è mai nessuno e ogni due giorni usciamo a fare una passeggiata. Penso che sia molto importante per mia figlia e per le mie gambe!
Io ho sempre avuto informazioni molto chiare a disposizione sul virus perché vivendo in una piccola città e avendo una bimba che va a scuola alla fine ho conosciuto un sacco di personale medico-sanitario a cui ho sempre potuto chiedere tutto. Mi fido molto del fatto che se ci ammalassimo farebbero di tutto per farci stare bene. Mi sento così fortuna ad essere qui piuttosto che in Colombia… là la sanità è più un privilegio che un diritto, c’è una disuguaglianza profonda e un sistema di assicurazioni che si basa sul modello statunitense che di fatto esclude la maggior parte della popolazione. Oltre alle carenze del sistema sanitario ci sono poi quelle del sistema di protezione sociale che è praticamente inesistente. Gli interessi economici sono fortissimi e poi è ancora in corso la guerra e il massacro di leader sociali e di difensori dei diritti. In Colombia in questo momento non c’è un settore sociale capace di alzare la voce per far fronte ai problemi, capace di identificarli e chiedere delle risposte e questo rende la situazione ancora più pericolosa, anche perché abbiamo un esercito che, ahimè, è troppo abituato alla repressione. Anche in Colombia, come qui, c’è un po’ un rimbalzo tra amministrazioni regionali e nazionali, ogni zona segue delle regole un po’ diverse ma adesso si stanno preparando alla riapertura.
I miei genitori per fortuna stanno bene, vivono a Bogotà e quindi hanno comunque delle opportunità migliori di assistenza rispetto alle famiglie contadine, dove magari non c’è neanche un posto di terapia intensiva. L’unica cosa da segnalare è che in Colombia hanno imposto delle misure particolarmente pesanti per gli over 70 che da marzo e fino alla fine di maggio non potevano uscire. Ultimamente stavano pensando di ridurre ulteriormente agli over sessantenni, anche se continua ad esserci un dubbio sulla costituzionalità di queste misure così focalizzate. Le persone anziane, come i miei genitori per esempio, più che sentirsi protetti da questa misura si sentono di fatto marginalizzati.