Sono Wendy e vengo dal Perù. Sono arrivata in Italia una decina di anni fa per raggiungere mia madre. Ora vivo qui con lei, con il mio compagno e mio figlio. Nella vita studio all’università e lavoro part-time in una cooperativa come segretaria.
Prima dell’emergenza sanitaria la mia vita era decisamente ricca di cose da fare: lo studio, il lavoro e il bambino piccolo. Dovevo riuscire a organizzarmi bene! Però riuscivo a frequentare le altre mamme e andare in diversi posti, come le mostre che mi piacciono tanto. Ora purtroppo con il virus non è più possibile.
Con il virus ho dovuto imparare a essere multitasking al 100%: sia il lavoro sia l’università sono passati in modalità online, e per quanto riguarda l’università, la mole di lavoro è decisamente aumentata. Le lezioni si svolgono su diverse piattaforme, i professori lasciano libri e materiali da leggere e il rapporto con loro è cambiato. Anche per gli esami è un disastro: devi riuscire a iscriverti e bisogna stare tutto il tempo su queste piattaforme. Per me che lavoro e ho un bambino a volte è difficile da gestire.
A causa del virus le mie ore di lavoro per la cooperativa sono molto diminuite. I documenti e i materiali che ci servono sono rimasti in ufficio e da casa non si può fare molto. Durante il weekend lavoravo anche per un infopoint turistico che ha dovuto chiudere. È da fine febbraio che non vengo pagata, ora solo mia madre e il mio compagno sostengono economicamente la famiglia. Ho fatto richiesta per il bonus del governo, ma sono ancora in attesa di un riscontro che non è ancora arrivato. Da quando c’è il virus ho perso la mia indipendenza economica, il fatto di poter gestire i miei soldi e di poter aiutare economicamente la mia famiglia. Anche dal punto di vista sociale le cose sono parecchio cambiate, il mio lavoro all’infopoint mi permetteva di stare a contatto con la gente e di svolgere tante mansioni diverse. Mi occupavo di beni culturali, facevo catalogazione e, dato che parlo lo spagnolo, l’inglese e l’italiano, ogni tanto facevo un po’ da guida. Mi piace molto il mio lavoro, è la mia passione. Lo faccio da quando sono arrivata qui in Italia ed è un modo di dare il mio contributo alla città che mi ha accolta.
Una settimana fa ho avuto la febbre molto alta e mal di testa per un paio di giorni. Mi sono rivolta subito al medico di base che mi ha detto di rimanere in casa quindici giorni per prevenzione. L’ASL e gli altri enti incaricati decideranno se potrò fare il tampone per sapere se ho avuto il coronavirus. Spero che non sia il coronavirus. Ho cercato di prendere tutte le precauzioni con il bambino, di stargli il più lontana possibile, ma essendo così piccolo non si poteva tenerlo completamente isolato.
Abito in casa con mia mamma, il mio compagno e il piccolo. Mia mamma fa la badante e ha continuato a lavorare. Così anche il mio compagno che lavora nella logistica. Entrambi stavano fuori casa tutto il giorno. Non è stato un incubo, ma comunque la situazione non era bella dato che potevano entrare in contatto con una persona infetta. Ero molto preoccupata per loro e per il mio bambino. Io sono rimasta a casa con il piccolo e ho cercato dei modi per farlo svagare, dato che non era più possibile uscire. Ha dovuto rinunciare ai corsi di lettura, di nuoto… Per me è molto importante il contatto con la natura. Per fortuna dalla finestra di casa nostra si vedono tanti alberi! Ora sto cercando un asilo nido gratuito anche se non si sa bene quando riapriranno. Prima dell’emergenza sanitaria l’idea era di fare domanda a fine marzo e iniziare a settembre. A me serve tempo per continuare a studiare e voglio far stare il bambino insieme ai suoi coetanei. L’idea è quella che interagisca con gli altri bambini, fin da piccoli si imparano tante cose. Io sono figlia unica e quando ero piccola ero libera di giocare con gli animali in campagna da mio nonno.
Al momento ho fatto richiesta per il rinnovo del permesso di soggiorno e ho in mano la ricevuta. In Comune però, quando sono andata a richiedere il bonus per la nascita del bambino qualche mese fa, mi hanno detto che non era possibile ottenerlo senza permesso di soggiorno e di ritornare quando l’avrei avuto…
Questa fase due non so ancora come andrà. Il mio lavoro all’infopoint prevede il contatto con altre persone per cui rimarremo ancora chiusi. Per quanto riguarda l’altro lavoro, ci stiamo piano piano organizzando. Non vedo l’ora di poter uscire e ricominciare a lavorare!
Mi sembra che in Perù la gente non riesca a rispettare le regole e rimanere a casa. Ogni volta che parlo con qualcuno sui social gli dico di organizzarsi per fare la spesa e di non uscire tutti i giorni. Però noi peruviani siamo abituati a mangiare cibo fresco ed è difficile convincerli. Alcuni magari non hanno nemmeno il frigorifero e comprano cose tutti i giorni al mercato. È pericoloso uscire e avere contatti. Questo la mia famiglia lo sa bene. Un mio zio che lavorava nel trasporto di merci di prima necessità è morto per il coronavirus. Ha avuto febbre e mal di testa – gli stessi sintomi che ho avuto anch’io –, ma non ci ha dato troppo caso. Dopo due giorni, ha iniziato a mancargli il respiro e l’hanno portato d’emergenza in ospedale. Quando è arrivato era ancora vivo e respirava a fatica, ma lì non c’erano respiratori ed è venuto a mancare. Mi vengono i brividi a pensarlo, ma mi chiedo che cosa posso fare oltre ad avvertire i miei conoscenti. Ma loro non capiscono… Dico loro di non uscire e di mangiare quello che si mangiava una volta, il mais, le patate… I miei cuginetti più piccoli per scherzare mi dicono che stanno mangiando la canna di zucchero. Io rispondo “bravi, quando finirà tutto mangerete un gelato o quello che volete, ma ora dovete mangiare quello che c’è…”