Una Sanatoria tanto (dis)attesa?

Il programma di “emersione” 2020 tra ostacoli e (mancate) opportunità

Il 13 maggio 2020, l’allora Ministra dell’Agricoltura Teresa Bellanova, nel corso della conferenza stampa volta ad illustrare i contenuti del cosiddetto “Decreto Rilancio”, annunciava un provvedimento di regolarizzazione rivolto ai lavoratori stranieri, il primo da otto anni. La sanatoria era una misura fortemente attesa, tanto dai cittadini/e stranieri/e, che dai datori e dalle datrici di lavoro, così come dalle organizzazioni della società civile impegnate nel campo dei diritti dei migranti. Già dalle prime letture sono però emersi numerosi rilievi critici sulla prevista efficacia del provvedimento con riferimento alle finalità dichiarate, che oggi si ripropongono con rinnovata urgenza.

 

Il rapporto “Una sanatoria tanto (dis)attesa?” è il risultato di una ricerca, condotta da ricercatori e ricercatrici dell’università degli studi di Milano in collaborazione con vari enti della società civile a vario titolo coinvolti nella procedura di sanatoria. Focalizzandosi sul contesto lombardo, il rapporto descrive – a partire dai racconti di migranti, datori di lavoro, intermediari ed esperti – le molteplici implicazioni della complessità, ambiguità e restrittività del provvedimento. A 6 mesi dalla sua chiusura, la sanatoria è però soprattutto caratterizzata dall’attesa: solo il 5% delle domande si è concluso con una valutazione definitiva da parte delle istituzioni. Questi ritardi, in una situazione di protratta emergenza sanitaria, rischiano di vanificare gli sforzi posti in essere da chi è faticosamente riuscito a guadagnarsi l’accesso ad una procedura che, seppur non semplice, aveva generato forti aspettative di miglioramento, inclusione e tutela.

Era il 13 maggio 2020 quando Teresa Bellanova, allora Ministra dell’Agricoltura, nel corso della conferenza stampa volta ad illustrare i contenuti del cosiddetto “Decreto Rilancio”, annunciava un provvedimento di regolarizzazione rivolto ai lavoratori stranieri, il primo da otto anni[1]. Tale provvedimento, conquistato al prezzo di lunghi e sofferti negoziati, ha rappresentato un traguardo importante, aprendo l’opportunità di veder riconosciuta la propria presenza a molti lavoratori stranieri irregolari o – se titolari di status legali precari – a rischio di scivolamento nell’irregolarità[2].

Negli ultimi anni, il quadro politico-legale è stato infatti caratterizzato da una progressiva riduzione delle opportunità di ingresso legale per motivi di lavoro[3] da un lato, e, dall’altro, da una marcata ir-regolarizzazione della presenza straniera imputabile all’effetto del cosiddetto “decreto Salvini” del 2018, che, abolendo il permesso di soggiorno per motivi umanitari, si è tradotto in un aumento del numero di persone a cui non è stata riconosciuta una protezione, destinati così in gran parte, ad aggiungersi alla popolazione degli irregolari, che secondo alcune stime raggiungeva le 700,000 unità alla fine del 2019[4].

La sanatoria era, dunque, una misura fortemente attesa – dai cittadini stranieri, dalle organizzazioni della società civile impegnate nel campo dei diritti degli immigrati, che lo reclamavano da tempo[5], ma anche dai datori di lavoro delle categorie interessate. Nel dibattito pubblico, la misura è stata sostenuta e promossa come uno strumento volto a contrastare il lavoro nero ed il caporalato, particolarmente diffuso nel settore agricolo[6]. Non dobbiamo poi dimenticare il particolare momento in cui è stato varato il provvedimento: il dibattito sui cosiddetti “lavoratori essenziali” in tempi di pandemia, da un lato, e l’urgenza di tutela della salute pubblica in un’ottica di estensione dei diritti garantiti dalla piena iscrizione al sistema sanitario nazionale (oltre a quanto già garantito ai cittadini irregolari dal cosiddetto “codice STP”), dall’altro, hanno fornito la cornice di senso entro cui legittimare l’urgenza del provvedimento (e di cui si trovano tracce nello stesso decreto-legge[7]).

Già dalle prime letture[8] sono però emersi alcuni rilievi critici sulla prevista efficacia del provvedimento con riferimento alle finalità dichiarate, che oggi si ripropongono con rinnovata urgenza. Come un crescente numero di osservatori ed attori della società civile sta evidenziando, a 6 mesi dalla chiusura della finestra temporale entro cui era possibile inoltrare domanda di regolarizzazione, solo il 5% delle domande era giunto nella fase finale della procedura[9]. Questi ritardi, in una situazione di protratta emergenza sanitaria le cui conseguenze sulle condizioni di vita e lavoro di moltissimi cittadini/e stranieri ed italiani/e stanno emergendo in tutta la loro gravità e portata[10], rischiano di vanificare gli sforzi posti in essere da chi è faticosamente riuscito a guadagnarsi l’accesso ad una procedura che, come vedremo, è (stata) caratterizza da significativi livelli di complessità, ambiguità e restrittività.

 

Grazie a 45 interviste condotte con datori di lavoro, cittadini stranieri ed organizzazioni della società civile a vario titolo coinvolti nel provvedimento di regolarizzazione, abbiamo ripercorso le mosse del procedimento di sanatoria, rivelandone opportunità e limiti, così come sono emersi dalle parole di chi ne ha fatto esperienza diretta. In attesa di disporre di dati quantitativi certi sugli esiti delle procedure (in termini di percentuale di domande accettate o rigettate sui diversi canali), i dati qualitativi raccolti consentono già da subito di tratteggiare le principali criticità della regolarizzazione, gettando luce su alcuni nodi e questioni irrisolte che, al di là dell’esito di questo specifico provvedimento, continueranno a caratterizzare la vita dei cittadini stranieri in Italia. Tra questi, il rapporto tra la pubblica amministrazione ed i cittadini di origine straniera; l’accesso gratuito (o a prezzi equi) ad un’informativa legale ed amministrativa di qualità; il (limitato) livello di consapevolezza dei cittadini stranieri (ma anche dei datori di lavoro e di molte istituzioni, private e pubbliche) attorno a diritti e doveri associati ad una galassia di status (il)legali sempre più mutevole, articolata e complessa.

 

Nelle prossime pagine, dopo aver illustrato le caratteristiche principali del provvedimento di regolarizzazione (rispetto alla natura dei requisiti richiesti e alle modalità di trasmissione delle domande), chiariremo la metodologia adottata nello studio, per poi passare a commentare i dati raccolti. In particolare, ci concentreremo sulle aspettative, sui limiti e sugli effetti (talvolta perversi) del provvedimento di sanatoria, nei termini in cui è stato congegnato ed implementato. L’intento è quello di permettere alle testimonianze raccolte di lasciare un traccia che consenta non tanto (o non solo) di ragionare su ciò che “non ha funzionato” in vista di un eventuale ripetersi di misure di regolarizzazione (che, come ben espresso da un intervistato, non “sanano” tanto le persone quanto l’inadeguatezza delle politiche in vigore) ma, piuttosto, di osservare, grazie alla sanatoria, questioni di carattere più strutturale che caratterizzano il modo in cui una pluralità di attori (migranti, datori di lavoro ed imprese, esperti e professionisti, società civile e movimenti sociali, pubblica amministrazione) quotidianamente si confronta (e si scontra) con le complessità derivanti dalla normativa sull’immigrazione e dai suoi limiti.

[1] L’ultimo provvedimento di regolarizzazione risale infatti al 2012 ed ha coinvolto circa 100 mila lavoratori.

[2] M. Ambrosini. L’immigrazione al tempo della pandemia: nuove difficoltà, scoperte impreviste, opportunità insperate. Mondi Migranti. 2/2020.

[3] In particolare, a partire dal 2011, le quote per i cittadini extra-comunitari stabilite dai Decreti Flussi si sono stabilizzate intorno alle 30 mila unità (principalmente per lavoro di carattere stagionale), chiudendo, di fatto, questo canale.

[4] Openpolis. La sicurezza dell’esclusione. https://www.openpolis.it/esercizi/la-stretta-del-decreto-sicurezza-al-sistema-di-accoglienza/

[5] G. Siviero. La regolarizzazione dei migranti non sta funzionando. Il Post. 2020. https://www.ilpost.it/2020/07/22/la-regolarizzazione-dei-migranti-non-sta-funzionando/

[6] Si veda, per esempio, A. Custodero. Migranti, scontro nella maggioranza, Crimi (M5S): “No a sanatoria”. Bellanova (Iv): “Valuto dimissioni”. La Repubblica. 2020. https://www.repubblica.it/politica/2020/05/06/news/migranti_crimi_m5s_no_a_una_sanatoria_stile_maroni_-255814735/

[7] Tale nesso emerge già dal titolo del Decreto-Legge che contiene l’articolo 103 relativo alla sanatoria (Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19) ed è puntualmente riproposto all’articolo 103 quando si afferma che “Al fine di garantire livelli adeguati di tutela della salute individuale e collettiva […] e favorire l’emersione di rapporti di lavoro irregolari, i datori di lavoro italiani o cittadini di uno Stato membro dell’Unione europea, ovvero i datori di lavoro stranieri in possesso del titolo di soggiorno […] possono presentare istanza, con le modalità di cui ai commi 4, 5, 6 e 7 , per concludere un contratto di lavoro subordinato con cittadini stranieri presenti sul territorio nazionale ovvero per dichiarare la sussistenza di un rapporto di lavoro irregolare, tuttora in corso, con cittadini italiani o cittadini stranieri.” (Decreto Legge 22 marzo 2021, n. 41 in materia di “Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia”).

[8] Si veda ad esempio il commento dell’avvocato Paggi, La sanatoria ai tempi del coronavirus. Un primo commento alla regolarizzazione (https://www.asgi.it/notizie/la-sanatoria-ai-tempi-del-coronavirus/), e di Mariani, La sanatoria è un male necessario, ma la Bellanova scoperchia il vaso di Pandora (https://www.meltingpot.org/La-sanatoria-e-un-male-necessario-ma-la-Bellanova.html#.YGWhiegzZPY)

[9] In particolare, si veda il dossier di Ero Straniero, Regolarizzazione 2020 a rischio fallimento: tempi lunghissimi e ostacoli burocratici. Alcune proposte per “salvare” una misura necessaria. Disponibile su: http://erostraniero.it/regolarizzazione

[10] Vedi su questo il Rapporto Annuale di Istat (2020) (https://www.istat.it/storage/rapporto-annuale/2020/Rapportoannuale2020.pdf)

L’allora governo “Conte II” introduce nel cosiddetto “Decreto Rilancio” (art. 103 del Decreto Legge 19 maggio 2020, n. 34) una misura di “emersione dei rapporti di lavoro”: questo il termine – secondo alcuni in parte improprio[11] – scelto per definire la misura che avrebbe consentito a cittadini di origine straniera in possesso di specifici requisiti, di ottenere un permesso di soggiorno rinnovabile (e convertibile) per motivi di (ricerca) lavoro.

 

I due commi

 

Il programma di “emersione” si articolava su due commi principali che delineavano due “canali” distinti.

 

Il primo (il c.d. “comma 1”) prevedeva la nuova assunzione di un cittadino straniero (anche, ma non esclusivamente, irregolare), o, in alternativa, la regolarizzazione di un rapporto di lavoro informale già in essere. In entrambi i casi (analogamente a quanto già previsto da precedenti misure di regolarizzazione[12]), la procedura poteva essere attivata esclusivamente dal datore di lavoro (tramite il servizio di inoltro telematico del Dipartimento per le Libertà Civili e l’Immigrazione del Ministero degli Interni[13]).

Il datore di lavoro, che non doveva aver subito condanne per specifici reati[14], era tenuto a dimostrare una capacità economica sufficiente (variabile a seconda del settore previsto[15]) per dichiarare di voler assumere ex novo o di far emergere un rapporto di lavoro già in essere in uno dei tre settori ammissibili: 1) lavoro domestico di sostegno al bisogno familiare 2) agricoltura, allevamento, zootecnia, acquacoltura, pesca, attività connesse 3) assistenza alla persona per sé o per componenti della famiglia, anche non conviventi affetti da patologie o disabilità che limitino l’autosufficienza.

Al lavoratore straniero era invece richiesto di dimostrare – tramite documentazione proveniente da enti pubblici o erogatori di servizi di pubblica utilità[16]la propria presenza sul territorio italiano (almeno) dall’8 marzo 2020 (senza essersene successivamente allontanato) oltre all’assenza di condanne per specifici reati[17].

Al datore di lavoro era poi richiesto il pagamento di un contributo forfettario di 500 euro a cui si sarebbero aggiunti i contributi previdenziali, di un ammontare variabile in funzione del tipo di contratto instaurato e della data di inizio del contratto di lavoro[18].

In caso di accoglimento della domanda, al cittadino straniero sarebbe stato rilasciato un permesso di soggiorno per lavoro subordinato (della durata di uno o due anni, a seconda del tipo di contratto di lavoro instaurato[19]).

Un altro importante requisito, inoltre, riguardava l’idoneità alloggiativa. Questo certificato si lega al rapporto di lavoro attraverso l’istituto del “contratto di soggiorno”[20], nell’ambito del quale il datore di lavoro deve sottoscrivere una dichiarazione con cui assicura – sotto la propria responsabilità – di avere verificato che il lavoratore disponga di un alloggio idoneo, ovvero che “rientri nei parametri minimi previsti dalla legge per gli alloggi di edilizia residenziale pubblica”[21], con cui si stabilisce un rapporto minimo tra la superficie dell’alloggio e il numero degli occupanti. La norma richiedeva la produzione di un certificato, che non deve però essere confuso con il certificato che riguarda invece l’idoneità abitativa, che normalmente permette ai cittadini stranieri di ottenere il nulla osta della Prefettura per il ricongiungimento familiare[22]. L’ottenimento dell’idoneità alloggiativa, però, appariva difficile da reperire per almeno due ordini di motivi. Da una parte perché, i migranti che si trovano in condizione di irregolarità spesso occupano alloggi sotto molti aspetti non idonei e/o in assenza della titolarità formale dell’alloggio. Dall’altra parte, la norma ha creato confusione sui criteri per il rilascio del suddetto certificato. Come vedremo, infatti, si sono affermate prassi eterogenee e arbitrarie da parte delle amministrazioni comunali incaricate di rilasciare la certificazione di idoneità alloggiativa, con alcuni Comuni che, nel fornire l’idoneità applicano i criteri per il rilascio dell’idoneità abitativa.

 

Il secondo “canale” prevedeva invece che un cittadino straniero, se titolare un permesso di soggiorno scaduto dopo il 31 ottobre 2019, potesse presentare autonomamente domanda per ottenere un permesso di soggiorno per “ricerca lavoro” della durata di sei mesi. Tale opportunità era però soggetta a molteplici condizioni. Il richiedente doveva (come già precedentemente descritto con riferimento al comma 1) dimostrare di essere presente sul territorio italiano (almeno) dall’8 marzo 2020 (senza essersene successivamente allontanato) oltre all’assenza di condanne per specifici reati. Inoltre, doveva dimostrare di aver lavorato in passato (anche informalmente) nei tre settori previsti.

Anche il permesso (eventualmente) ottenuto in caso di positiva valutazione della propria richiesta è soggetto a forti condizionalità, trattandosi di un permesso non rinnovabile ed esclusivamente convertibile in un permesso di soggiorno per motivi di lavoro dimostrando il possesso di un contratto di lavoro (e/o della documentazione retributiva e previdenziale) in uno dei tre settori interessati.

 

Qualunque cittadino straniero interessato/a alla sanatoria in uno dei due canali avrebbe inoltre dovuto fornire prova della propria identità. Come vedremo, però, le indicazioni inizialmente discrepanti sul tipo di documentazione idonea a questo scopo[23] e la (parziale) chiusura (o virtualizzazione) di molti uffici pubblici hanno ulteriormente complicato un percorso già irto di ostacoli.

 

Infine, è utile ricordare come la sanatoria non abbia interessato solo le persone in condizione di irregolarità, ma anche (come emerso dai dati raccolti), migranti titolari di permessi di soggiorno “precari”[24].

 

Un punto particolarmente controverso di questa misura ha, ad esempio, riguardato la possibilità, da parte dei richiedenti asilo, di sfruttare la sanatoria per ottenere un permesso di soggiorno per motivi di lavoro, percepito, per varie ragioni che cercheremo di illustrare, come più favorevole. Su questo punto, si conferma il carattere di opacità, complessità ed ambiguità del provvedimento, tratti che hanno contribuito a generare prassi difformi (e potenzialmente discriminatorie[25]) ed una sensazione di pervasiva insicurezza ed incertezza tra i richiedenti.

La possibilità di accesso da parte dei richiedenti asilo alla sanatoria era infatti regolata in modo diverso sui due canali. In particolare, i richiedenti asilo interessati da un provvedimento di regolarizzazione nell’ambito del c.d. “comma 1” non erano tenuti a rinunciare alla loro richiesta di protezione internazionale né nella fase di richiesta di sanatoria, né al momento dell’(eventuale) ottenimento del permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato, potendo quindi riservarsi un’opzione di scelta fino a quando la propria richiesta d’asilo non avesse ricevuto un esito definitivo[26]. Al contrario, le domande avviate secondo le condizioni esplicitate al c.d. “comma 2” (che parlava di “permesso scaduto”) implicavano la necessità di rinuncia al momento della presentazione della domanda, come confermato da una specifica circolare ministeriale[27].

[11] Secondo un nostro intervistato, infatti, l’unico meccanismo che si possa considerare propriamente una misura di emersione riguarda la regolarizzazione di un rapporto di lavoro informale già in essere, che dunque emergeva dalla condizione di irregolarità. Al contrario nel caso della nuova assunzione di un lavoratore straniero e nel cosiddetto canale 2 (che, come vedremo permetteva ad un cittadino straniero di presentare autonomamente domanda per ottenere un permesso di soggiorno) si dovrebbe più propriamente parlare di sanatoria.

[12] Prima del 2020, infatti, in Italia sono stati varati altri sette programmi di ‘regolarizzazione’ e si è quasi sempre trattato di programmi che miravano a regolarizzare migranti in quanto lavoratori.

[13] https://nullaostalavoro.dlci.interno.it/Ministero/Index2

[14] In particolare, non sono ammessi alla procedura di regolarizzazione i datori di lavoro che abbiano subito una condanna negli ultimi 5 anni, anche non passata in giudicato, per: favoreggiamento dell’immigrazione clandestina verso l’Italia e dell’immigrazione clandestina dall’Italia verso altri stati, reati diretti al reclutamento di persone da destinare alla prostituzione o allo sfruttamento della prostituzione o di minori da impiegare in attività illecite, riduzione o mantenimento in schiavitù (art. 603-bis c.p.); intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro; impiego di lavoratori stranieri privi di permesso di soggiorno o con permesso di soggiorno scaduto/non rinnovato/revocato/annullato (art. 22, co.12, D.lgs n.286/1998).

[15] In questo caso, per i settori produttivi agricoltura, allevamento e zootecnia, pesca e acquacoltura e attività connesse, i datori dovevano dimostrare un reddito imponibile non inferiore a 30.000 euro; per i settori del lavoro domestico o di assistenza alla persona, se il nucleo familiare risultava composto da un solo soggetto percettore di reddito il reddito non doveva essere inferiore a 20.000 euro, mentre, in caso di nucleo familiare composto da più soggetti conviventi, non doveva essere inferiore a 27.000 euro (alla determinazione di questi due ultimi limiti di reddito potevano concorrere i redditi del coniuge o dei parenti entro il 2° grado, anche se non conviventi).

[16] Nella Circolare Ministero dell’Interno, Dipartimento per le Libertà Civili e l’Immigrazione Direzione Centrale per le Politiche dell’Immigrazione e l’Asilo, 30 maggio 2020, a questo proposito si menziona: “prova della presenza in Italia dello straniero documentata da attestazione di data antecedente all’8 marzo 2020, rilasciata da organismi pubblici intesi come soggetti pubblici, privati o municipalizzati che istituzionalmente o per delega svolgono una funzione o un’attribuzione pubblica o un servizio pubblico (a titolo meramente esemplificativo: certificazione medica proveniente da struttura pubblica, certificato di iscrizione scolastica dei figli, tessere nominative dei mezzi pubblici, certificazioni provenienti da forze di polizia, titolarità di schede telefoniche o contratti con operatori italiani, documentazione proveniente da centri di accoglienza e/ o di ricovero autorizzati anche religiosi, le attestazioni rilasciate dalle rappresentanze diplomatiche o consolari in Italia)”.

[17] Nello specifico, sono esclusi coloro che abbiano ricevuto: un’espulsione disposta direttamente dal Ministro dell’Interno (art.13, co.1, D.lgs. n.286/1998) o disposta dal Prefetto per “pericolosità” (art.13, co.2, lett. c, D.lgs. n.286/1998); una segnalazione ai fini della non ammissione nel territorio dello Stato (ad esempio, nel Sistema Informativo Schengen (SIS); una condanna, anche non definitiva o pronunciata a seguito di patteggiamento per i reati previsti dall’art.380 c.p.p. (tra i quali: furto, maltrattamenti familiari, omicidio colposo stradale, delitti contro la libertà personale, favoreggiamento dell’immigrazione clandestina verso l’Italia e dell’emigrazione clandestina dall’Italia verso altri Stati o per reati diretti al reclutamento di persone da destinare alla prostituzione); o che comunque siano considerati una minaccia per l’ordine pubblico o la sicurezza dello Stato o di uno dei Paesi con i quali l’Italia abbia sottoscritto accordi per la soppressione dei controlli alle frontiere interne e la libera circolazione delle persone.

[18] Per chi avesse dichiarato, al momento della compilazione della domanda di regolarizzazione, la volontà di regolarizzare un rapporto già in essere, la comunicazione di assunzione partiva contestualmente all’invio della domanda. L’entità dei contributi pregressi in capo al datore di lavoro intenzionato/a a far emergere un rapporto di lavoro già irregolarmente instaurato è stata definita solo successivamente (con un Decreto interministeriale del 7 luglio 2020, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale dell’8 settembre 2020) in un ammontare pari a 300 euro per il settore agro-alimentare e 156 euro per i settori domestico e assistenziale. Coloro i quali, invece, avessero dichiarato la volontà di assumere ex-novo, avrebbero cominciato a pagare i contributi regolarmente solo a partire dalla data di instaurazione del nuovo contratto (senza dunque essere soggetti ad alcun contributo forfettario). Come vedremo, questa complessità delle procedure, unita ad opacità e ritardo nella comunicazione di informazioni rilevanti, è stata evidenziata come uno dei punti più critici della procedura.

[19] Come tutti i permessi di soggiorno per motivi di lavoro, la durata del relativo permesso di soggiorno non può superare l’anno nel caso di un contratto di lavoro subordinato a tempo determinato, e di due anni nel caso di un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato (art. 5 co 3bis TUI).

[20] Introdotto dal Decreto del Presidente della Repubblica 18 ottobre 2004, è un contratto che deve essere stipulato per la concessione del permesso di soggiorno per motivi di lavoro tra un datore di lavoro e un lavoratore straniero che non possegga già altri permessi che autorizzano al lavoro.

[21] Ai sensi dell’art. 5, comma 1, lett. A del Testo Unico.

[22] Questa certificazione è sancita dall’ art.29, comma 3, lett.a del Testo Unico ed è subordinata alla verifica della condizione igienico-sanitaria e spesso dell’agibilità della dimora e dell’idoneità degli impianti.

[23] Tale possibilità è stata chiarita con la circolare del Ministero dell’Interno Dipartimento per le Libertà Civili e l’Immigrazione, Direzione Centrale per le Politiche dell’Immigrazione e l’Asilo, del 30 maggio 2020, la quale prevedeva la possibilità di presentare al posto del passaporto uno dei seguenti documenti: lasciapassare comunitario; lasciapassare frontiera; titolo di viaggio per stranieri; titolo di viaggio apolidi; titolo di viaggio rifugiati politici; attestazione di identità rilasciata dalla Rappresentanza Diplomatica in Italia del Paese di origine.

[24] Con permessi “precari” ci riferiamo, ispirandoci alla definizione datane da Goldring, Berinstein e Bernhard a tutti quei permessi di soggiorno che sono temporanei e non convertibili o che, se convertibili, sono associati a condizionalità che espongono chi ne è titolare a condizioni di particolare e ripetuta incertezza in merito al possesso e alla verifica di specifici requisiti e che sono caratterizzati da vincoli che in qualche modo limitano il pieno godimento dei diritti sociali, civili e politici garantiti dalla condizione di cittadinanza “formale”. I richiedenti asilo sono, ad esempio, titolari di status legali precari nella misura in cui il loro status è revocabile in caso di valutazione negativa della propria domanda da parte delle autorità preposte. Seppur tutte le condizioni di cosiddetta “denizenship” – che si collocano cioè “al di sotto” dello status di cittadino (naturalizzato) espongono a forme di precarietà, alcune sono più marcate di altre e questi “dislivelli” spiegano le possibili strategie di mobilità tra status che i cittadini stranieri possono adottare, anche, come vedremo, con riferimento alla sanatoria. Vedi: Goldring, L., Berinstein, C., & Bernhard, J. K. (2009). Institutionalizing precarious migratory status in Canada. Citizenship Studies, 13(3), 239–265.

[25] In particolare, la pretesa che il richiedente asilo rinunci alla domanda di protezione internazionale, a pena di irricivibilità della domanda di sanatoria è stata messa in dubbio sia da alcuni commentatori (P. Cognini. Guida ragionata alle le procedure di emersione/regolarizzazione art.103 decreto legge n °34 del 19/05/2020. Disponibile su: https://www.meltingpot.org/IMG/pdf/avv_paolo_cognini_guida_regolarizzazione_meltingpot.pdf) sia da alcuni tribunali (si veda: https://www.meltingpot.org/Regolarizzazione-ex-dl-34-2020-c-2-e-pretesa-della-rinuncia.html#.YIcn5pAzZPY).

[26]Come stabilito all’interno della sezione FAQ del Ministero dell’interno, al quesito numero 15 (https://www.interno.gov.it/it/faq-emersione-dei-rapporti-lavoro), e ribadito dalla Circolare Ministero dell’Interno Dip. Pubblica sicurezza 0044360 del 19/6/20.

[27] Ci riferiamo alla Circolare 0044360 del Ministero Interno Dipartimento Della Pubblica Sicurezza del 19/6/2020.

Questo rapporto restituisce i risultati di una ricerca condotta tra settembre 2020 e gennaio 2021 che ha previsto la raccolta di 45 interviste condotte con diversi tipi di attori a vario titolo coinvolti nel programma di regolarizzazione.

 

In particolare, sono state individuate tre distinte categorie di intervistati:

  1. datori di lavoro che hanno partecipato alla sanatoria (7 persone, tutti nel settore domestico);
  2. cittadini stranieri (10) che si sono interessati (2) e/o hanno poi scelto di partecipare (8) alla sanatoria;
  3. intermediari/facilitatori (30). Si tratta, in quest’ultimo caso, di operatori, avvocati ed altri professionisti, ma anche volontari e persone comuni che, a vario titolo, hanno rivestito un ruolo chiave nel veicolare risorse strategiche a favore dei migranti e/o dei loro datori di lavoro (indirizzando a servizi ad hoc, diffondendo informazioni su procedure e requisiti, inoltrando le pratiche, etc.). Nella stragrande maggioranza dei casi, questi si trovavano ad operare (come professionisti, volontari, attivisti) nell’ambito di specifiche organizzazioni: in servizi di orientamento pubblici (sportelli stranieri comunali, 5 persone), in centri di accoglienza per richiedenti asilo e rifugiati (5), in realtà sindacali (5), in associazioni del terzo settore attive nell’ambito dell’immigrazione (8), e in associazioni più marcatamente connotate sotto il profilo etnico-religioso (4).

La ricerca sul campo si è focalizzata sul contesto lombardo, concentrandosi soprattutto sulla realtà milanese ma coinvolgendo anche realtà del comasco, della Brianza e del bresciano. La Lombardia è, infatti, la regione con il più alto numero di cittadini stranieri, e, come rivelano i dati rilasciati dal Ministero dell’Interno[28], la Regione è ampiamente in testa per numero di domande presentate: queste hanno riguardato, in stragrande maggioranza (il 97%), il cosiddetto “comma 1”, per contratti attivati soprattutto nel settore domestico e di cura (più di 47 mila domande in questi settori su meno di 49 mila domande complessive nel canale 1)[29], un dato che si riflette anche nelle interviste raccolte.

 

Gli intervistati (soprattutto i cittadini stranieri ed i datori di lavoro) le cui generalità sono state cambiate per garantirne la privacy, sono stati raggiunti attraverso le reti di cui i ricercatori disponevano e tramite passaparola, in modo da differenziarne il più possibile le caratteristiche. In particolare, la ricerca è stata possibile grazie al supporto e alla collaborazione attiva dell’associazione Todo Cambia[30] e delle realtà appartenenti alla Rete Sportelli Immigrazione[31], un coordinamento di associazioni e realtà senza fine di lucro emerso nell’estate del 2020 come risposta alle crescenti esigenze di condivisione e confronto attorno a questioni carattere tecnico-operativo, mobilitazione ed advocacy sui temi della sanatoria ma anche, più in generale, delle problematiche di carattere amministrativo e burocratico che più spesso coinvolgono i cittadini di origine straniera in Italia.

Le aspettative che lavoratori e datori di lavoro riponevano nel provvedimento di regolarizzazione emanato nell’estate del 2020 vanno lette nel più ampio quadro caratterizzante le politiche migratorie italiane negli ultimi decenni. In tale quadro, le sanatorie si sono ripresentate con ricorrente ciclicità, contribuendo a sedimentare, negli anni, un sistema di aspettative ampiamente condivise, che trovano un punto di convergenza nell’attesa:

 

“Quando sono arrivata ho cercato di sistemarmi legalmente, ma non ci sono riuscita […] c’erano già tanti che aspettavano una legge

(Intervista n. 23 – Migrante di origine salvadoregna, richiedente asilo)

 

“Tante persone aspettano, la stanno aspettando da tre anni, quattro anni, cioè proprio era una chimera, un miraggio

(Intervista n. 44 – Responsabile di una società di intermediazione domanda-offerta nel settore di cura)

 

L’entità delle attese riposte in questo provvedimento vanno inoltre lette alla luce dei limiti che la condizione di irregolarità o di precarietà legale impone a chi la vive, talvolta per anni.

 

Il primo di questi limiti è la libertà di circolazione transfrontaliera: sia per i cittadini privi di un permesso di soggiorno che per i richiedenti asilo[32] la sanatoria rappresenta una via d’uscita da ciò che un intervistato ha efficacemente descritto come un “sequestro”:

 

Perché stare qua è un po’ un sequestro, perché stai lontano dal tuo Paese per otto, dieci anni, non riesci ad andare [perché] se esci poi non torni […] Io ti dico, mia madre è morta, non sono nemmeno potuto andare a darle l’ultimo saluto, non sono potuto andare perché non ho i documenti.

(Intervista n. 43 – Migrante di origine Senegalese, senza documenti)

 

Ho scoperto che se io facevo l’asilo politico non potevo andare al mio paese, ma io dovevo tornare per andare a prendere mio figlio.

(Intervista n. 23 – Migrante di origine salvadoregna, richiedente asilo)

 

Vorrei andare al mio Paese, però con questo permesso non posso. Lo vorrei tantissimo, perché voglio rivedere mia mamma e mia sorella.

(Intervista n. 41 — Migrante di origine salvadoregna, richiedente asilo)

 

Con quel permesso posso prendere il mio passaporto che è ancora alla Questura e tornare a casa, vedere la famiglia, ho tante cose in mente”

(Intervista n. 27 — Migrante di origine peruviana, richiedente asilo)

 

La percezione di più favorevoli opportunità di movimento garantite da un permesso per motivi di lavoro ha quindi portato anche alcuni richiedenti asilo a guardare con interesse alla sanatoria, e alla prospettiva di “abbandonare” una strada percepita come più rischiosa e meno vantaggiosa.

 

Adesso, anche se ho l’appello sono col pensiero che alla fine ti possono dare una carta di via… (Intervista n. 35 — Migrante di origine salvadoregna, richiedente asilo)

 

I limiti della precarietà legale che i migranti aspirano a superare grazie alla sanatoria emergono anche nella necessità di doversi ripetutamente sottoporre ad onerosi, ripetuti, rischiosi ed incerti meccanismi di verifica (da parte di Commissioni, Questure, Tribunali) che spesso richiedono il pagamento di somme di denaro che, per quanto (non sempre) modeste, gravano in maniera importante su persone che hanno redditi spesso contenuti:

 

Mi diventava difficile andare a pregare ogni volta, ogni due anni, davanti al Tribunale, pagare l’avvocato, e fare tante cose per avere un permesso di soggiorno che, seppure ci permetteva di lavorare e di pagare i contributi, per noi era vietato fare alcune cose, non era un permesso di soggiorno normale.

(Intervista n. 32 – Migrante di origine ecuadoriana, permesso per assistenza minori)

 

Le parole di Esther rimandano ad un tema più ampio, che, come vedremo, ha mostrato tutta la sua rilevanza nella fase di screening delle candidature, preparazione ed invio delle domande di regolarizzazione, ovvero l’accesso ai servizi di intermediazione legale ed amministrativa. Questo, come vedremo, si configura come un campo altamente deregolato, in cui gli stessi servizi possono essere offerti gratuitamente (o a costi assai contenuti) da enti pubblici o del terzo settore, oppure pagati a caro prezzo in un mercato che coinvolge una gamma assai eterogenea di attori (e che include avvocati, commercialisti, consulenti ed agenzie private) la cui competenza in materia di diritto dell’immigrazione non è sempre accertabile e a cui i migranti accedono soprattutto tramite reti interpersonali fiduciarie.

 

La condizione di irregolarità o di precarietà legale (sperimentata ad esempio dai richiedenti asilo, dai titolari di permesso di soggiorno art. 31 o dai titolari di permesso di soggiorno per motivi di lavoro stagionale[33]) implica una condizione di “blocco” di possibili traiettorie di avanzamento (ad esempio, sul piano occupazionale, scolastico, formativo) oltre a una sostanziale incertezza o (parziale) esclusione da diritti di grande rilevanza (dalla sanità, all’accesso al lavoro, al ricongiungimento familiare).

 

Un grande problema è che con l’asilo politico io non riesco ad affittare una casa. […] Cioè, tanta difficoltà e tanta discriminazione perché noi non abbiamo tutti i documenti. Con la richiesta di asilo, per esempio, la carta d’identità non riusciamo a farla, non si può fare.

(Intervista n. 34 — Migrante di origine salvadoregna, richiedente asilo)

 

Mi sono trovata questo lavoro, mi sono trovata benissimo con le persone e loro volevano assumermi, però non si poteva fare per il mio permesso scaduto. […]

(Intervista n. 25 — Migrante di origine salvadoregna, richiedente asilo)

 

Per questi migranti, la sanatoria viene vista come l’opportunità di godere di diritti ed opportunità che, per molti di loro, restano esclusivamente garantiti “sulla carta”.

 

Dal punto di vista occupazionale, l’aspettativa è quella di ricevere maggiori garanzie e tutele, e l’uscita da settori indesiderati e segregati, anche grazie a percorsi di formazione:

 

“Mi aspetto molte cose… Lavorare in regola, fare la patente, finire di studiare l’italiano, iniziare qualcosa di nuovo…”

(Intervista n.27 — Migrante di origine peruviana, richiedente asilo)

 

INTERVISTATORE: Le tue prospettive?

RISPOSTA: Non lavorare tutta la mia vita come baby-sitter.

INTERVISTATORE: Quindi vorresti cambiare lavoro, magari?

RISPOSTA: Eh sì, proprio! Essere regolare è un’altra cosa, perché ti dà la possibilità di chiedere le cose che ti spettano, ma se non sei regolare no, non ce la fai, cioè ti nascondi dietro alle persone

(Intervista n. 36 — Migrante di origine salvadoregna, richiedente asilo)

 

Oltre a questo, la speranza è di superare una condizione di ansia e paura che accompagna ogni occasione di “visibilità” nello spazio pubblico e le ripetute occasioni di controllo esercitate da chi li identifica come potenziali “criminali”:

 

Almeno una può sentirsi libera di andare per strada, perché non è giusto, uno non fa niente di brutto, non è che sta lì a rubare, la prendono per strada e gli chiedono i documenti, mi è successo due volte… ti viene lo spavento!

(Intervista n. 32 – Migrante di origine ecuadoriana, permesso per assistenza minori)

 

Fare sonni tranquilli, facendo la cosa giusta, perché anche lavorare in nero non va bene per tutti, no? Anche per il Paese, perché non si pagano le tasse e non va bene, non so [come] dirlo in italiano… Contribuire allo Stato, come un cittadino normale.

(Intervista n. 43 – Migrante di origine Senegalese, senza documenti)

 

Il desiderio di tranquillità, di serenità che si lega all’aspettativa di sicurezza legale si esprime anche, come ben emerge dalle parole di Moussa, nel desiderio di partecipare pienamente – anche grazie alla contribuzione fiscale – alla vita comune, come un “cittadino normale”. La sanatoria diventa quindi un potenziale strumento per riportarsi dentro un ‘sistema’ maggiormente certo di regole e diritti.

 

 

Il limite dei settori occupazionali

 

Un primo limite evidenziato da numerosi intervistati è stato il carattere selettivo della regolarizzazione. Molte sono state infatti le segnalazioni di cittadini esclusi dal provvedimento perché impiegati in settori non idonei:

 

La limitatezza del settore lavorativo per questa sanatoria è stato un problema nella nostra comunità. Moltissimi uomini [non hanno potuto regolarizzarsi] perché magari il lavoro precedente era dentro un’impresa di pulizia.

(Intervista n.10 — Membro di organizzazione etnico-religiosa)

 

Se alcuni migranti hanno cercato di reagire all’esclusione derivante dai limiti settoriali muovendosi alla ricerca di un nuovo lavoro in settori “idonei” – talvolta esponendosi, come vedremo, a forme di possibile abuso nel mercato dell’intermediazione di contratti di lavoro fittizi – questa strategia non era facilmente praticabile a causa, da un lato, dei tempi molto stretti e, dall’altro, dalle difficoltà e dei rischi derivanti dalla ricerca di una nuova occupazione in uno scenario già colpito dagli effetti della pandemia:

 

Molti migranti non si sono assunti il rischio di licenziarsi per trovare un altro lavoro “idoneo” a causa della crisi economica legata al Covid. […] Perché comunque erano posizioni di lavoro abbastanza garantite, il periodo era molto difficile e quindi non si sono messi a cercare altro. (Intervista n.2 — Operatore Sportello Stranieri Comunale)

 

Peraltro, i settori definiti idonei dalla sanatoria, secondo molti intervistati non rispondevano affatto alle reali esigenze del mercato del lavoro, specialmente in un contesto quale quello urbano lombardo, aprendo così un gap tra le esigenze del mercato e la possibilità di offerte dalla sanatoria:

 

È stato un errore madornale riservare questa emersione soltanto ad alcuni settori lavorativi, che, soprattutto in una città come Milano, non fotografano assolutamente quella che è la platea dei settori nei quali vengono impiegati i lavoratori o le lavoratrici straniere. L’agricoltura non è sicuramente per Milano il motore trainante dell’economia, ma sono stati esclusi tutti quei settori come i servizi alle imprese, la ristorazione, l’edilizia.

(Intervista n.5 — Operatore Sindacale)

 

Nella nostra zona, nel comasco, le tessiture sono più diffuse, no? […] Cioè, si sono create delle disparità di trattamento abbastanza aberranti…

(Intervista n. 42 — Avvocato presso uno Studio Legale di Como)

 

La sanatoria, escludendo un numero rilevante di lavoratori “non meritevoli”, è stata così percepita come inefficace (non intercettando tutti i lavoratori irregolari che avrebbero potuto esserne interessati) ma anche ingiusta, non riconoscendo la stessa dignità e tutela ad altri lavoratori, molti dei quali hanno peraltro assunto una crescente centralità in tempi di pandemia. Si pensi ad esempio agli addetti alle pulizie, ai lavoratori nel settore dei trasporti, della logistica, o a chi lavora nei supermercati:

 

Io ho sentito il discorso che ha fatto la Ministra che […] diceva che era per dare dignità alle persone […] Però, io penso che anche negli altri settori dovevano avere la stessa opportunità. Anche perché, ripeto, ci sono tante persone che lavorano e che vengono sfruttate perché non hanno un permesso di soggiorno.

(Intervista n. 20 — Membro di organizzazione etnico-religiosa)

 

Chi lavora nei supermercati […] come magazzinieri, come addetti allo stoccaggio, nelle consegne di alimentari […]  [Nei settori] non è ricompreso chi lavora nel settore delle pulizie, ad esempio nelle cooperative presso strutture ospedaliere. Se la ratio della sanatoria era quella di agevolare chi anche nel periodo emergenziale aveva prestato servizio nelle attività urgenti ed essenziali, secondo me quella è un’attività urgente ed essenziale.

(Intervista n. 17 — Avvocato presso uno Studio Legale di Milano)

 

Va peraltro ricordato che questo provvedimento, non era limitato agli irregolari ma anche ai titolari di status legali precari. In questo caso, l’impossibilità di fare leva su un contratto di lavoro già in essere per ottenere, tramite conversione, un permesso di soggiorno per motivi di lavoro è stato percepito come particolarmente irragionevole, come ben evidenzia il caso di molti richiedenti asilo impiegati in settori “non idonei”:

 

La nostra normativa prevede diverse forme di protezioni internazionali per la concessione delle

quali si deve necessariamente tener presente il loro percorso di integrazione, poi però nella

sanatoria li tagliamo fuori. Cioè il ragazzo che ha fatto il buttafuori per quattro anni, quando è

venuto qua dicendomi: “Avvocato, io posso fare sanatoria?” Gli ho detto: “No”. Cioè […]

ho regolarizzato persone che hanno lavorato nell’agricoltura per tre mesi, ma non chi aveva

lavori regolari da oltre 5 anni insomma… è evidente la disparità di trattamento. […] Perché un

soggetto che è qui da tre anni, che si è integrato, e che oggi è anche contribuente dello Stato

italiano, non ha diritto alla sanatoria mentre chi nulla ha fatto per mesi ma per caso o fortuna

trova un lavoretto di 3 mesi lo regolarizziamo?

(Intervista n. 42 — Avvocato presso uno Studio Legale di Como)

 

In questo senso, quindi, ponendo un discrimine tra settori idonei e non idonei, la sanatoria ha posto un primo vincolo che ne ha limitato la portata. Nel prossimo paragrafo vedremo nel dettaglio altri elementi che hanno contribuito a restringere ulteriormente il campo di opportunità offerte dal provvedimento.

[32] Infatti, le norme previste dal c.d. Regolamento Dublino III stabiliscono che il richiedente asilo debba soggiornare nello Stato europeo competente (quindi, generalmente, dove ha fatto domanda) in attesa della decisione sulla sua richiesta di protezione.

[33] Con questo termine si fa riferimento al permesso di soggiorno rilasciato ai genitori di un minore straniero con gravi problemi connessi allo sviluppo psicofisico che si trova in territorio Italiano. Fino all’abolizione dei decreti sicurezza, questo permesso consentiva al genitore di svolgere attività lavorativa ma non di convertire questo permesso di soggiorno in permesso per motivi di lavoro.

Come precedentemente accennato, la possibilità di ottenere un permesso di soggiorno grazie alla procedura di emersione era vincolata alla necessità di dimostrare il possesso di specifici requisiti, in capo sia al datore di lavoro che al lavoratore. Come emerso da varie testimonianze, l’incertezza relativa alla natura e alla comprovata validità di specifiche prove (oltre all’oggettiva difficoltà di procurarsele) hanno rappresentato per molti potenziali aventi diritto un rilevante ostacolo da superare.

 

La prova di presenza

 

Uno dei requisiti fondamentali della sanatoria riguardava la presenza sul territorio a prima dell’8 marzo 2020. Il testo di legge prevedeva, all’art. 103, comma 1, che i cittadini stranieri dovessero essere stati sottoposti a “rilievi fotodattiloscopici prima dell’8 marzo 2020”, ovvero dovessero “aver soggiornato in Italia precedentemente alla suddetta data, in forza della dichiarazione di presenza, resa ai sensi della legge 28 maggio 2007, n. 68 o di attestazioni costituite da documentazioni di data certa proveniente da organismi pubblici”.

 

Per molti cittadini stranieri – quali ad esempio quelli provenienti da paesi per cui non sussiste l’obbligo di visto in ingresso per motivi di turismo[34], o per quelli che sono soliti transitare attraverso altri paesi dell’area Schengen, prima di fare ingresso in Italia, oppure coloro i quali fossero entrati clandestinamente – l’esibizione di un timbro di ingresso sul passaporto rappresentava un problema non secondario.

I rilievi fotodattiloscopici sono invece solitamente effettuati nei confronti delle persone titolari di un permesso di soggiorno o sottoposte a controlli di polizia[35]. Tale tipo di richiesta produce un effetto paradossale, favorendo chi per “caso”, “stile di vita”, diversa “visibilità” o mera “fortuna” avesse già avuto occasione di essere stato segnalato o intercettato dalle pubbliche autorità[36].

 

Se uno è irregolare o ha avuto a questo punto la fortuna di dover andare al Pronto Soccorso, sennò non ha in mano nulla.”

(Intervista n. 17 — Avvocato presso uno Studio Legale di Milano)

 

A procedura avviata, attraverso precisazioni pubblicate in Circolari e rese note nella sezione FAQ del sito del Ministero degli Interni[37], questi requisiti si sono andati allentando e chiarendo, aprendo alla possibilità, da parte di attori privati di diversa natura (dalle compagnie aeree o di trasporto, alle compagnie telefoniche, fino agli enti del terzo settore) di produrre documentazione che potesse intendersi come “prova pubblica”

 

Uno dei problemi più grandi era che la persona, quando viene dal Salvador, fa sempre scalo a Madrid, e allora dicevano: “Ok, però tu sei andato a Madrid, non hai il visto per l’Italia”. Allora quello che noi consigliavamo era questo: “Tu tieni sempre il biglietto dell’aereo”: lo scalo era a Madrid, sì, però la fine del tuo viaggio era in Italia.

(Intervista n. 19 – Operatore presso associazione nell’ambito dell’immigrazione)

 

Tali strategie non sono, comunque, sempre facilmente attuabili (ad esempio, la probabilità di conservare prove come biglietti aerei o di altre compagnie di trasporto si riduce a distanza di anni) e possono risultare poco chiare o comprensibili non solo ai migranti ma anche agli intermediari meno avvezzi alle procedure riguardanti l’immigrazione. Più in generale, va osservato che, se il criterio temporale è stato tradizionalmente adottato nelle procedure di sanatoria per evitare un possibile “effetto richiamo”, come ben espresso da ASGI[38], la chiusura praticamente totale delle frontiere a causa dell’emergenza sanitaria in atto avrebbe certo potuto condurre all’adozione di una procedura più “snella”.

 

La difficoltà nel fornire prove attestanti le proprie generalità ha poi particolarmente coinvolto una categoria specifica di migranti interessati alla sanatoria, ovvero i richiedenti asilo.

Come ben evidenziato da questo intervistato, il “passaggio” dal canale dell’asilo a quello “economico” (sia nella forma della sanatoria che, più in generale, per tutto ciò che può concernere, ad esempio, le procedure di conversione) è complicato dal fatto che molti richiedenti asilo sono privi di passaporto o sono in grande difficoltà ad ottenerlo:

 

Per passare dal mondo dei permessi di soggiorno legati alla protezione internazionale al mondo dei permessi di soggiorno legati ai permessi per lavoro è necessario produrre il passaporto. Molto spesso è veramente una questione complicata, perché o i paesi non sono in grado [di produrli] oppure le persone che hanno ottenuto, ad esempio, una protezione sussidiaria non possono andare come pretenderebbero le autorità italiane presso le autorità diplomatiche del proprio paese a richiederli.

(Intervista n. 13 — Operatore presso associazione nell’ambito dell’immigrazione)

 

Sebbene sia stato successivamente chiarito che copia del passaporto (o di un documento equipollente[39]) non fosse necessario sin da subito per presentare domanda per il canale 1, il fatto che ciò sia stato precisato solo a procedura aperta[40] può aver scoraggiato la presentazione di domande da parte di chi fosse meno informato, e può avere creato particolari problemi sul secondo canale, essendo qui necessario allegarlo sin da subito (e non al momento della successiva convocazione).

 

 I requisiti reddituali del datore di lavoro

 

Come precedentemente accennato, ai datori di lavoro interessati era richiesto di dimostrare di collocarsi oltre una specifica soglia di reddito. La logica retrostante a questa richiesta (già presente in altri provvedimenti di regolarizzazione) era quella di garantire (quindi, potenzialmente, anche ai lavoratori) che a fare domanda fossero solo datori di lavoro in grado di permettersi l’assunzione di un lavoratore. Tale criterio, seppur ragionevole, ha però prodotto degli effetti potenzialmente discriminatori nei confronti dei lavoratori.

 

Innanzitutto, secondo alcuni intervistati che hanno seguito la sanatoria come intermediari, il limite di reddito poteva comunque rivelarsi troppo elevato, specialmente nel caso di rapporti di lavoro attivati nel settore domestico e di cura, in cui i datori sono tipicamente famiglie o singole persone che necessitano di assistenza:

 

Questo limite a mio avviso è un po’ troppo elevato per il datore di lavoro, soprattutto

domestico, e non ha consentito ad alcuni di essere regolarizzati magari per novecento euro di

differenza.

(Intervista n. 42 — Avvocato presso uno Studio Legale di Como)

 

Abbiamo ascoltato molti datori di lavoro che non riuscivano ad avere da soli il reddito sufficiente, e neanche congiunto, nel lavoro domestico soprattutto.

(Intervista n. 8 — Operatore presso associazione nell’ambito dell’immigrazione)

 

A ciò si aggiunge il fatto che la possibilità di “combinare” i redditi di altri familiari non conviventi, seppur possibile sulla carta, in pratica poteva essere ostacolato dalla mancanza di chiarezza circa l’impegno che questa “condivisione” dell’impegno reddituale da parte di terzi avrebbe potuto rappresentare a seguito dell’instaurazione del rapporto di lavoro.

 

Le difficoltà riguardavano la questione del reddito. Allora, se io da sola riuscivo ad avere i famosi ventimila euro, o i ventisettemila, andava tutto bene. Se invece serviva il reddito di qualche altro parente, diventava un problema, perché sappiamo che poi nelle famiglie ci sono le discussioni: “Ma io ti devo dare il reddito, ma poi cosa vuol dire? Ma poi devo pagare io, ma l’hai sempre guardata te, l’hai sempre fatto te”, quindi il dover coinvolgere altri alla, come dire, dichiarazione di congruità per il mantenimento della persona che curava la mamma e il papà, il nonno, non era scontato.

(Intervista n. 40 – operatore sindacale)

 

Ancora più grave è il fatto che i principali interessati dal provvedimento di regolarizzazione – ovvero i lavoratori stranieri – non fossero nelle condizioni di sapere se i loro datori di lavoro fossero o meno nella condizione di poterli regolarizzare. Il fatto che la procedura fosse congegnata in modo tale da mettere tutto il procedimento nelle mani del datore di lavoro[41] ha fatto sì che si generassero dei “punti ciechi” che, come vedremo, hanno significativamente favorito l’emergere di forme di sfruttamento, abuso e raggiro a danno dei migranti.

 

L’idoneità alloggiativa

 

Particolari difficoltà sono poi derivate dalla richiesta di produrre il certificato di idoneità alloggiativa. Le difficoltà osservate nell’ottenimento di tale certificato sono imputabili, da un lato, alle oggettive condizioni abitative degli stranieri interessati alla sanatoria e, dall’altro, alla confusione istituzionale legata alla produzione dei certificati stessi.

 

Per quanto riguarda il primo aspetto, non si capisce come cittadini stranieri in condizione di irregolarità potessero produrre un certificato che, per sua natura, presume, innanzitutto, la titolarità formale dell’alloggio (nella forma di un contratto di affitto in regola e/o della proprietà dell’immobile). Dunque, subentrava la necessità, da parte degli stranieri, di procurarsi una dichiarazione di ospitalità da parte di chi (il titolare “formale” dell’immobile) avrebbe poi dovuto impegnarsi a richiedere tale certificato al Comune, affinché fosse poi il datore di lavoro ad assumersi la responsabilità di dichiarare quanto previsto dal contratto di soggiorno.

Al di là dell’onerosa (e sotto diversi aspetti illogica) sequenza di passaggi richiesti per produrre il certificato, l’irregolarità nel soggiorno spinge inevitabilmente molti stranieri ad occupare le fasce meno privilegiate del mercato abitativo, rendendo, anche volendo, l’ottenimento dell’idoneità un miraggio, per chi vive in condizioni di sovraffollamento in alloggi sotto molti aspetti “inidonei”:

 

Se io vivo, come accade per l’ottanta per cento, forse anche più, di irregolari, insieme ad altri connazionali, in cinque in un bilocale, in subaffitto, chi me la dà l’idoneità alloggiativa? (Intervista n. 8 — Operatore presso associazione nell’ambito dell’immigrazione)

 

Per un cittadino straniero che è temporaneamente regolare sul territorio, perché ha in mano solamente una ricevuta della sanatoria, già trovare un’abitazione è difficilissimo, trovare un’abitazione con regolare dichiarazione di ospitalità, con regolare certificazione, diventa veramente un pretendere quasi l’impossibile.

(Intervista n. 17 — Avvocato presso uno Studio Legale di Milano)

 

A complicare ulteriormente il quadro, molti osservatori hanno segnalato prassi assai eterogenee adottate dalle amministrazioni comunali incaricate di rilasciare le certificazioni.

 

Abbiamo dei Comuni che fanno delle cose e dei Comuni che ne fanno altre […] c’è una difformità di applicazione della norma da un Comune all’altro.

(Intervista n. 5 — Operatore Sindacale)

 

I Comuni fanno quello che vogliono. Molti Comuni rilasciano solo l’idoneità alloggiativa, che sarebbe un documento che indica che in quella casa per quella metratura possono entrare cinque, sei, quattro, due, tre persone; molti Comuni chiedono invece l’idoneità abitativa, ovverosia anche le prerogative di sicurezza per quanto riguarda l’impianto idrico, l’impianto elettrico, tutto quanto. Questa è molto più complicata da ottenere e non tutte le abitazioni hanno queste caratteristiche. […] In alcuni paesi vicini a Milano, in particolare io ricordo Buccinasco, rilasciano soltanto la seconda e non la prima, quindi con un’ispezione da parte di un architetto.

(Intervista n. 26 — Operatore presso associazione nell’ambito dell’immigrazione)

 

Alcuni Comuni, nel valutare e produrre il certificato di idoneità, infatti, verificano quindi aspetti come la regolarità degli impianti, che dovrebbero invece riguardare solo l’idoneità abitativa rilasciata ai fini del ricongiungimento familiare[42]. Alcuni Comuni, inoltre, chiedono che tali certificazioni vengano rilasciate da professionisti che operano su tariffari variabili.

 

Ammesso quindi – e non concesso – che siano chiare (ai datori di lavoro, ai lavoratori, ai titolari dell’alloggio, ai tecnici comunali) quali siano i criteri che una casa deve rispettare per essere giudicata “idonea”, rimane da capire come (peraltro, nei tempi definiti dal procedimento) sia realistico e praticabile per un soggetto che non la possiede, procurarsela cambiando casa. Qualsiasi persona alla ricerca di un alloggio “idoneo” sul mercato, non sarebbe in grado di sceglierlo sulla base di una certificazione che non è in possesso degli stessi titolari degli immobili:

 

Possiamo dire che è molto difficile che un lavoratore sappia, e che di conseguenza il suo datore di lavoro sappia, se la casa dove uno vive è adeguata ai sensi di parametri così incerti […] Ma anche se fossero certi i parametri, non lo sai fino a quando non fai la richiesta di idoneità, perché soltanto a quel punto sai se la casa è per cinque, per tre, per due, per dieci.

(Intervista n. 29 – Operatore Sportello Stranieri Comunale)

 

Posti di fronte a queste richieste irrealistiche, molti lavoratori sono stati costretti a mettere in atto delle strategie che, nella migliore delle ipotesi, si innestano, nel migliore dei casi, in relazioni di solidarietà (con i datori di lavoro ma anche con amici e conoscenti) e, nella peggiore, in circuiti di sfruttamento:

 

RISPOSTA: dove io abito mi hanno detto che lì non posso fare l’idoneità abitativa perché la casa è un bilocale, perché comunque è piccola.

DOMANDA: Quindi è stato sempre il tuo datore di lavoro che ti ha dato l’idoneità alloggiativa?

RISPOSTA: Sì, è stato lui che ha fatto tutto quello

(Intervista n. 35 — Migrante di origine salvadoregna, richiedente asilo)

 

Ci sono dei gruppi su Facebook e ogni tanto vedevi qualche post in cui dicevano: “Sto cercando qualcuno che mi dia la residenza, se c’è qualcuno che magari mi dia l’ospitalità”.

(Intervista n. 20 — Membro di organizzazione etnico-religiosa)

 

Si genera così un mercato parallelo di certificati di idoneità e dichiarazioni di ospitalità, che, secondo alcuni intervistati, poteva costare anche mille euro, una cifra notevole e che, come vedremo, andava a sommarsi al resto dei costi implicati dalla procedura:

 

L’alloggio era una cosa incredibile, per avere una persona che ti desse anche l’alloggio, tu pagavi anche cinquecento o mille euro…

(Intervista n. 19 — Operatore presso associazione nell’ambito dell’immigrazione)

[34] Fanno parte di questo gruppo Paesi quali, a titolo di esempio, Albania, Argentina, Ucraina e Venezuela.

[35] Numerose sono le possibili occasioni di fotosegnalamento: all’atto del rilascio o rinnovo di qualsiasi permesso di soggiorno; in occasione del soccorso in mare e dei conseguenti sbarchi sulle coste italiane; al momento dell’adozione di provvedimenti di respingimento o di espulsione; all’atto della formalizzazione della domanda di protezione internazionale; in occasione di fermi o arresti; in occasione di controlli delle forze dell’ordine. In alcuni casi, però, il fotosegnalamento rappresenta un ostacolo per la richiesta di sanatoria: ad esempio, quando il fotosegnalamento sia eseguito nell’ambito dell’espulsione per “pericolosità” (art.13, co.2, lett. c, D.lgs. n.286/1998).

[36] P. Cognini. Guida ragionata alle le procedure di emersione/regolarizzazione art.103 decreto legge n °34 del 19/05/2020. Disponibile su: https://www.meltingpot.org/IMG/pdf/avv_paolo_cognini_guida_regolarizzazione_meltingpot.pdf

[37] vedi nota 16 supra, a cui si è aggiunta il 13.6.20 una nota esplicativa pubblicata nelle FAQ del Ministero dell’Interno

[38] Paggi, La sanatoria ai tempi del coronavirus. Un primo commento alla regolarizzazione (https://www.asgi.it/notizie/la-sanatoria-ai-tempi-del-coronavirus/)

[39] Con questa formula si intendono: lasciapassare comunitario; lasciapassare frontiera; titolo di viaggio per stranieri; titolo di viaggio apolidi; titolo di viaggio rifugiati politici; attestazione di identità rilasciata dalla Rappresentanza Diplomatica in Italia del Paese di origine.

[40] Infatti, nel D.M. del 27 maggio 2020, che conteneva le istruzioni relative al procedimento di emersione, all’art.5 ancora si parlava di “dati identificativi dello straniero con gli estremi del documento di riconoscimento in corso di validità” per poter presentare istanza. Solo successivamente, nella sezione FAQ del sito del Ministero dell’Interno (quesito 17), si è chiarito che “la domanda può essere presentata anche indicando gli estremi del documento scaduto, dell’attestato di identità o del permesso di soggiorno scaduto”.

[41] Anche se diverse realtà coinvolte nell’indagine hanno esplicitamente scelto di rendere equamente partecipi (es. nelle comunicazioni, nelle convocazioni) entrambe le parti (lavoratori e datori di lavoro) in linea di principio un lavoratore coinvolto nella procedura di emersione non era infatti tenuto a ricevere copia della ricevuta prodotta dal sito del Ministero o del pagamento del contributo forfettario di 500 euro.

[42] Come abbiamo osservato nella seconda sezione, la normativa italiana prevede due tipi di certificati di idoneità legati alle caratteristiche dell’alloggio: l’idoneità alloggiativa ai sensi dell’articolo 5 del Testo Unico, che prevede soprattutto il rispetto di una metratura sufficiente a ospitare il numero di persone residenti, e l’idoneità abitativa ai sensi dell’articolo 29 del Testo Unico, che prevede invece anche la conformità dell’abitazione, compresi gli impianti.

La domanda di sanatoria prevedeva, come precedentemente illustrato, il pagamento di una tassa e (nel caso del primo canale) il versamento dei contributi previdenziali, il cui importo è stato però solo successivamente definito per coloro i quali avessero deciso di fare “emergere” un rapporto di lavoro già in essere. Nel caso delle domande presentate dai datori di lavoro interessati al “primo canale”, l’entità e l’incertezza legata all’aspetto economico della procedura – quanto si sarebbe dovuto pagare ma anche cosa si stesse effettivamente pagando – hanno rappresentato un limite ricorrente:

 

Pochissimi datori di lavoro riescono a comprendere per quale motivo dovessero pagare 500 euro […] non solo per una persona assunta in nero, ma anche per una persona assunta ex-novo

(Intervista n. 13 — Operatore presso associazione nell’ambito dell’immigrazione)

 

[l’entità del] contributo forfettario di natura contributiva […] è stato definito soltanto a pratica conclusa. Molti datori di lavoro hanno deciso di non usufruire di questa possibilità proprio perché non avevano idea di quella che sarebbe stata poi la cifra effettiva che avrebbero dovuto pagare […] Soprattutto in un periodo come questo […] ciò ha disincentivato la regolarizzazione delle persone.

(Intervista n. 5 — Operatore Sindacale)

 

Come discuteremo più dettagliatamente nella sezione sul “comma 1”, l’interesse di datori di lavoro e lavoratori nel provvedimento di regolarizzazione non è identico: se, come abbiamo visto, costituisce un agognato momento di svolta ed affrancamento per i migranti, che vi ripongono accese speranze, l’interesse dei datori di lavoro è nel complesso più limitato, considerato che il rischio percepito di incorrere in sanzioni per l’impiego di manodopera irregolare fosse, tutto sommato, ridotto.

 

Di conseguenza, come emerge da diverse testimonianze raccolte, seppure questi costi figurano, in linea di principio, in capo al datore di lavoro, di fatto questi ricadono, all’atto pratico, sulle spalle dei lavoratori, già gravati dal costo delle idoneità abitative e, come vedremo, talvolta anche dei servizi di intermediazione.

 

Abbiamo intuito un po’ il mercato rispetto anche ai versamenti dei 500 euro […] perché, insomma, il datore di lavoro magari ti anticipa le 500 euro, ma poi te le riprende dallo stipendio.

(Intervista n. 2 — Operatore Sportello Stranieri Comunale)

 

In tanti mi hanno detto: “Almeno mi mettono in regola, però mi ci metto io da solo, cioè, se c’è una persona che mi aiuta, se mi fa la richiesta, poi pago io tutto”. Allora hanno iniziato a pagare i cinquecento euro iniziali, no? […] Però se un datore di lavoro ti diceva: “Ah, va bene, allora io ti metto a posto e dichiariamo che tu stai lavorando da un anno con me” […] questa persona doveva iniziare a pagare i contributi da quel momento. […] Se io dicevo che è da un anno che sto lavorando con questo signore, allora questa persona si trova a pagare centocinquantasei euro al mese per tutto l’anno, 12 mesi!

(Intervista n.18 — Membro di organizzazione etnica)

 

Di alcuni ho saputo che il datore di lavoro gli ha detto: “Ok, facciamolo, ci penso io” E per altri è successo che il lavoratore ha dovuto smazzarsela tutta: cercare e magari anche pagare il CAF, per mandare tutta la documentazione come doveva essere.

(Intervista n. 20 — Membro di organizzazione etnico-religiosa)

 

La situazione non è tanto facile, perché per fare la sanatoria ti chiedono 500 euro. Anche se quello lo deve pagare il datore di lavoro, qua non è così, lo paghiamo noi.

(Intervista n. 25 — Migrante di origine salvadoregna, richiedente asilo)

 

Nel caso dei richiedenti asilo, i costi della sanatoria andavano talvolta a sommarsi a quelli versati ai loro avvocati per farsi carico della richiesta di protezione internazionale[43]. La sanatoria si configura così per molti migranti come una tassa “dovuta” per poter condurre una vita regolare: una tassa che però non tutti possono permettersi.

[43] I richiedenti asilo, infatti, non hanno sempre accesso alla tutela legale gratuita. Come tutti i cittadini, per poter essere ammessi al gratuito patrocinio a spese dello stato non devono essere titolari di un reddito annuo superiore a 11.746,68 euro. Inoltre, se vivono con la famiglia, i loro redditi si sommano a quelli del coniuge e degli altri familiari conviventi (Decreto del Ministero della Giustizia del 23 luglio 2020).

La complessità procedurale precedentemente descritta ha rappresentato una sfida sia per chi (migrante o datore di lavoro) fosse alla ricerca di una fonte informativa “diretta” (ad esempio sulle pagine web ministeriali), sia per chi fosse invece impegnato in un’operazione di “traduzione” e mediazione informativa (in associazioni, sindacati e altre realtà) sul territorio. Dalle testimonianze raccolte emerge che l’accompagnamento alla sanatoria abbia infatti rappresentato un percorso insidioso anche per esperti impegnati da anni nel campo dell’orientamento burocratico-legale a favore dei cittadini stranieri:

 

É brutto da dire ma in questo momento […] nessuno è sicuro di niente […] È tutto talmente arzigogolato e complicato che una certezza io non mi sento di darla neanche nei casi che sembrano più limpidi.

(Intervista n. 17 — Avvocato presso uno Studio Legale di Milano)

 

Anche se il Ministero dell’Interno aggiornava costantemente il proprio sito internet chiarendo alcuni punti dubbi attraverso la sezione FAQ (ed illustrando la procedura di richiesta di emersione dei rapporti di lavoro attraverso l’ausilio di un video-tutorial[44]), secondo diversi intervistati questo tipo di comunicazione non è stata sufficiente a colmare gap imputabili a divari linguistici relativi sia alla lingua italiana, sia al lessico burocratico-amministrativo[45] e alle competenze informatiche:

 

Diciamo che probabilmente queste cose vanno chiarite e comunicate con un linguaggio ed una modalità molto più capillare. Certo, questo è stato affidato al territorio, però, oltre al territorio e quindi ai patronati e quant’altro, occorre che le istituzioni siano precise, cioè sì, c’è il sito del Ministero, ma il linguaggio è criptico. […] Ci sono dei video tutorial, però il video tutorial francamente, per chi ne è ignaro, per chi non conosce, non è uno strumento semplice.

(Intervista n. 8 — Operatore presso associazione nell’ambito dell’immigrazione)

 

Per cui, se, in linea teorica, la richiesta poteva essere inoltrata direttamente dal datore di lavoro (sul comma 1) oppure dal migrante (sul comma 2), passaggi obbligati (quali l’ottenimento dello SPID) hanno rappresentato, per alcune fasce di utenza, un ostacolo insormontabile, se non adeguatamente supportato:

 

C’erano tante persone che mi dicevano: “Ma cosa è questo [SPID]? Come si fa? Io non capisco.

(Intervista n. 19 — Operatore presso associazione nell’ambito dell’immigrazione)

 

Io che non ho il computer faccio una fatica dieci volte il normale. […] Già per gli italiani è un po’ difficile, diciamo, per le persone anziane… con questa tecnologia che sta andando avanti è difficile.

(Intervista n. 32 — Migrante di origine ecuadoriana, permesso per assistenza minori)

 

A ciò si aggiunge il fatto che, su molte questioni-chiave, le informazioni essenziali sono state fornite solo a procedura già aperta: in sei diverse circolari (alcune delle quali emanate dopo la chiusura della finestra per fare domanda, il 15 agosto[46]) e/o nella sezione FAQ:

 

Ci sono state tantissime circolari arrivate troppo tardi oppure le fonti del Ministero un giorno riportavano delle informazioni e il giorno dopo le FAQ cambiavano.

(Intervista n. 5 — Operatore Sindacale)

 

Il tema delle precisazioni “in corsa” ha riguardato molti aspetti importanti della sanatoria: tra questi, come già ricordato, l’ammontare del contributo previdenziale per il canale 1, oppure l’opportunità di avviare la procedura di regolarizzazione da più datori di lavoro contemporaneamente (così da ripartirsi l’onere contributivo), in caso di lavoro non solo a tempo pieno ma anche parziale.

 

L’incertezza informativa ha riguardato però, in particolare, i richiedenti asilo. Come altri titolari di permesso di soggiorno “deboli” anche per questi era prevista l’opportunità di beneficiare della sanatoria. Se questo fosse realmente possibile, in che modo, e, soprattutto, con quali effetti sulla propria domanda di asilo, però, non è stato chiaro a lungo (almeno fino alla circolare del Ministero dell’Interno del 24 luglio).

 

[Un] grosso ostacolo è stata la poca chiarezza nello stabilire se i richiedenti asilo e quali richiedenti asilo avessero o meno diritto a potere accedere a questa sanatoria. Che, tra l’altro, una delle tante motivazioni che era stata data da parte di chi l’ha costruita, quindi della compagine governativa era anche per risolvere in parte i problemi [di irregolarizzazione dei richiedenti asilo, n.d.a.] creati dal decreto Salvini.

(Intervista n. 13 — Operatore presso associazione nell’ambito dell’immigrazione)

 

Questa costante “rincorsa” alle informazioni ha avuto molteplici effetti negativi. Innanzitutto, per molti migranti e datori di lavoro, le informazioni caotiche e mutevoli hanno contribuito ad accrescere la sensazione di confusione ed ansietà. Una nostra intervistata, pur soddisfacendo i requisiti per presentare domanda di sanatoria nell’ambito del comma 2, ha infine scelto di non aderire proprio per la situazione di ansia, incertezza e mancanza di fiducia che si era andata creando:

 

INTERVISTATORE: Tu hai letto proprio la legge?

RISPOSTA: Mi sono guardata l’articolo, l’ho letto certo. Però mi ha scoraggiato il fatto che diciamo che tutto questo cambia di giorno in giorno. Sembra che quindi o lo fai in quel momento o non lo fai più.

(Intervista n. 25 — Migrante di origine salvadoregna, richiedente asilo)

 

Da un’intervista a consulenti legali a sostegno di uno sportello di intermediazione, ad esempio, è emerso come la mancanza di chiarezza iniziale rispetto alla possibilità di avere più datori di lavoro abbia precluso la presentazione dell’istanza a due persone:

 

È stata veramente una corsa ad ostacoli […]. Anche il tema dei datori di lavoro plurimi, che è venuta fuori dopo: io ho beccato adesso un paio di persone che non lo sapevano e se l’avessero saputo avrebbero potuto farla.

(Intervista n. 3 — Operatore Sportello Stranieri Comunale)

 

Noi davamo le informazioni e fino all’ultimo non avevamo ancora bene chiaro come procedere. Quindi abbiamo anche dovuto rinviare, sospendere alcune cose, cercare di arrivare le prime settimane di agosto per far fare la pratica.

(Intervista n. 2 — Operatore Sportello Stranieri Comunale)

 

Nel complesso, l’impossibilità di fornire informazioni certe su aspetti dubbi e la necessità di rivedere alcune prassi ed indicazioni fornite in precedenza, hanno contribuito ad una delegittimazione dell’opera degli intermediari (anche di quelli più preparati e formati) e ad un significativo aggravio dei loro carichi di lavoro. Come emerge dall’ultima intervista, questi hanno infatti dovuto spesso sobbarcarsi “un doppio lavoro”: richiamando le persone a cui si erano date informazioni superate dagli aggiornamenti avvenuti nel mentre, posticipando la lavorazione di domande su cui c’erano aspetti poco chiari.

Le conseguenze di questo processo vanno peraltro lette alla luce del quadro più ampio che caratterizza il tema dell’informativa burocratico-legale nei confronti dei cittadini di origine straniera, un tema che va ben oltre lo specifico caso della sanatoria estendendosi, potenzialmente, a tutto lo spettro delle più comuni casistiche relative alla gestione della posizione legale dei cittadini stranieri. Da più testimonianze è emerso infatti come il campo dei servizi di intermediazione burocratico-legale sia caratterizzato dalla compresenza di attori (pubblici e privati, profit e non profit) molto diversi tra loro la cui competenza non è sempre acclarata ed accertabile e i cui servizi prevedono tariffe estremamente variabili[47].

 

Questo anche a causa della scarsità – e apparentemente, del progressivo contrarsi, dei servizi pubblici di orientamento forniti ad esempio dai Comuni, come testimonia questo intervistato:

 

INTERVISTATORE: Quanti altri Comuni di tua conoscenza hanno offerto questo servizio?

RISPOSTA: Credo ben pochi. […] Il fatto di avere uno Sportello Stranieri direi che è un lusso, […] un po’ per la volontà politica che c’è dietro, un po’ per la gestione degli Uffici Stranieri e degli Sportelli Stranieri, che, quando c’è, è sempre meno a gestione diretta del Comune, come abbiamo noi, e sempre più appaltata a cooperative e associazioni.

(Intervista n. 29 — Operatore Sportello Stranieri Comunale)

 

Alcuni sportelli comunali e/o finanziati dal pubblico, inoltre, sono prevalentemente destinati ad un’utenza provenienti dal campo allargato dei servizi sociali e dell’immigrazione (servizi sociali, sistema CAS-Siproimi, etc.), offrendo quindi un servizio qualificato e gratuito però ad un’utenza già in qualche modo “agganciata” dai servizi del territorio, lasciando però “scoperta” una quota importante di persone:

 

RISPOSTA: Durante la sanatoria, abbiamo rappresentato un punto di riferimento per i servizi che avevano in carico situazioni particolari, soprattutto quelle relative all’articolo 31, o i vecchi richiedenti asilo.

INTERVISTATORE: Erano le altre organizzazioni che vi mandavano le persone con questi casi?

RISPOSTA: Soprattutto i servizi, sì.

(Intervista n. 2 — Operatore Sportello Stranieri Comunale)

 

INTERVISTATORE: Chi sono le persone che vengono da voi?

RISPOSTA: Noi ne abbiamo [una parte] che ci sono inviati dai servizi di vario tipo, i servizi sociali, il SERT, i consultori, ma anche le altre organizzazioni che sono sul territorio. Il nostro focus principalmente è il territorio, zona VI, o altri partner di progetti.

(Intervista n. 24 — Operatore presso associazione nell’ambito dell’immigrazione)

 

A fianco dei Patronati (co-finanziati per alcune pratiche in convenzione con il Ministero), esiste però una galassia di soggetti scarsamente inquadrabili (che, in gran parte dei casi, i cittadini stranieri chiamano “CAF”) che offrono questi servizi a pagamento, su tariffari variabili e talvolta anche molto esosi.

 

Non sono delle pratiche facili da fare, poi c’era questo discorso dello SPID che bisognava andare a fare alla posta, quindi c’erano dei passaggi un po’ complessi. Diciamo che alla fine dovevi affidarti a dei tecnici, tipo al CAF, a questi posti qua, di modo che loro riuscivano a darti una mano. Tutto questo implicava un altro pagamento, quindi un’altra spesa.

(Intervista n. 20 — Membro di organizzazione etnico—religiosa)

 

I CAF mirano soltanto alla parte economica, perché non c’è dietro una formazione adeguata che, soprattutto per l’immigrazione, deve essere in continua evoluzione. […] Non dico che non ci siano persone brave ai CAF, perché non bisogna fare di tutta l’erba un fascio, però nella maggior parte dei casi, per quello che ho visto, sia a livello fiscale sia a livello di compilazione del kit c’è poca competenza ed utenti hanno ricevuto l’espulsione perché la pratica era sbagliata.

(Intervista n. 10 —Membro di organizzazione etnico-religiosa)

 

Abbiamo casi relativi sempre a CAF, che questa volta non siamo riusciti ad identificare con sufficiente precisione per fare una denuncia […], in cui le cifre sono di 500-600 euro. Quelli sono indicatori di un tentativo di truffa, di una persona, di un servizio che raccoglie molte domande con l’intenzione poi di non presentarsi al momento della firma del contratto di soggiorno e quindi fare decadere la domanda.

(Intervista n. 13 — Operatore presso associazione nell’ambito dell’immigrazione)

 

L’aggancio ai servizi più qualificati ed accessibili del territorio non pare essere qualcosa di scontato, dato che, per i migranti, i primi riferimenti vengono ricavati dalle reti interpersonali e/o da una galassia di siti web e pagine social che non sempre conducono a servizi di qualità. Anzi, come testimoniano alcuni intervistati/e, per molti migranti l’idea di accedere ad un servizio gratuito o al solo costo della tessera (come quello offerto da molte associazioni qualificate no-profit) non veicola un’idea di affidabilità, essendo talvolta preferito a servizi più costosi anche se non sempre più preparati.

 

Ci sono volte che dobbiamo proprio lottare contro i nostri stessi connazionali. […] Perlopiù giovani che sanno usare i mezzi di comunicazione, che sanno informarsi, però poi è difficile prendere informazioni [corrette]

(Intervista n. 10 —Membro di organizzazione etnico-religiosa)

[43] I richiedenti asilo, infatti, non hanno sempre accesso alla tutela legale gratuita. Come tutti i cittadini, per poter essere ammessi al gratuito patrocinio a spese dello stato non devono essere titolari di un reddito annuo superiore a 11.746,68 euro. Inoltre, se vivono con la famiglia, i loro redditi si sommano a quelli del coniuge e degli altri familiari conviventi (Decreto del Ministero della Giustizia del 23 luglio 2020).

[44] https://www.interno.gov.it/it/notizie/emersione-dei-rapporti-lavoro-e-rilascio-permessi-soggiorno-temporaneo

[45] Ad esempio, gli intervistati hanno dichiarato come particolarmente difficili da comprendere le norme che facevano riferimento all’idoneità abitativa, dichiarazione di ospitalità e autodichiarazione di stato di famiglia.

[46] Queste sono: la Circolare n. 40467 sempre del 30 maggio 2020 del Ministero dell’Interno; la Circolare n.1455 del 5 giugno 2020; la Circolare 44360 del Ministero Interno del 19 Giugno 2020; la Circolare 48133 del Ministero dell’Interno del 7 luglio 2020; la Circolare del Ministero Interno numero 2399 del 24 luglio 2020; la Circolare n. 4623 del 17 novembre 2020 del Ministero dell’Interno. A queste si aggiunga anche la Circolare Inps n. 68 del 31 Maggio 2020 sulle procedure per la presentazione dell’istanza.

[47] Rispetto alle pratiche di sanatoria, abbiamo avuto notizia di pratiche gestite (gratuitamente o al solo costo della tessera associativa) da sportelli stranieri comunali, associazioni riconosciute, patronati legati ai principali enti sindacali, ma anche pratiche gestite al costo di diverse centinaia di euro da avvocati ed agenzie private.

Se, come abbiamo visto, la situazione emergenziale legata al Covid ha in qualche modo offerto un contesto favorevole a legittimare una misura attesa da anni, la situazione pandemica non ha però sotto molti aspetti giovato al successo della stessa misura. In particolare, gli intervistati hanno segnalato tre diversi ordini di fattori imputabili alla pandemia che hanno complicato l’accesso ad una procedura già particolarmente complessa.

Innanzitutto, la situazione emergenziale ha condizionato la possibilità, da parte di molte organizzazioni pubbliche e del terzo settore, di fornire informazioni in presenza. Le misure adottate per contenere i contagi hanno infatti impattato tanto sui servizi più “strutturati” (es. sportelli Comunali o sindacali) quanto sulle realtà più informali (le associazioni etniche, ad esempio), imponendo servizi in presenza numericamente contingentati e/o su prenotazione oppure erogando informazioni esclusivamente a distanza (ad esempio, tramite sportelli telefonici). Per molte realtà (specie quelle meno strutturate e/o meno dotate di risorse) è stato difficile organizzare momenti di discussione aperti al pubblico:

 

In altri tempi si sarebbe fatta una riunione, un incontro o semplicemente, dopo la Messa si sarebbe fatto un discorso inerente a questo. In questo caso, non si è potuto fare, perché tuttora abbiamo fatto degli incontri, ma molto ridotti.

(Intervista n. 16 — Membro di organizzazione etnico-religiosa)

 

Anche le associazioni più radicate, che storicamente hanno svolto un ruolo di informazione non solo ai cittadini stranieri ma agli operatori interni ed esterni, a causa delle restrizioni imposte dal Covid non hanno potuto svolgere la loro funzione divulgativa:

 

L’associazione è sempre stata un punto di riferimento anche per gli operatori che, grazie ad incontri pubblici, usavano la nostra informazione, preparazione, formazione per costruirsi gli strumenti per lavorare sulla sanatoria. Questo tipo di lavoro, questa volta, non è stato possibile, perché non era possibile accogliere 200 persone in sede.

(Intervista n. 13 — Operatore presso associazione nell’ambito dell’immigrazione)

 

Se questa situazione ha spinto diverse organizzazioni a reinventarsi per rendere fruibili i propri servizi e delle forme di supporto anche a distanza (aprendo sportelli telefonici, comunicando via chat su Whatsapp o Telegram o facendo un più ampio uso degli strumenti offerti dai social networks o dalle piattaforme di videoconferenza), va evidenziato come questa “virtualizzazione” del supporto se, svincolando l’accesso dal territorio, ha da un lato aperto nuove opportunità (ad esempio raggiungendo chi si trovasse in territori “poveri” di servizi o impossibilitato/a a spostarsi con facilità), evidenzia anche dei limiti, soprattutto derivanti dalla difficoltà ad interloquire su casi difficili (in assenza di un adeguato accesso alla documentazione scritta) a causa di difficoltà comunicative imputabili alla lingua e/o alla difficoltà di fruizione delle tecnologie richieste.

 

Un secondo aspetto riguarda invece la necessità di interloquire con la pubblica amministrazione per ottenere la documentazione necessaria all’avvio della pratica (ad esempio: i certificati di idoneità abitativa o le attestazioni di identità consolare). In questo senso, le chiusure e le limitazioni poste dagli ingressi agli uffici pubblici hanno complicato il reperimento di documenti richiesti:

 

L’idoneità alloggiativa è stato un disastro, e lo è tuttora, perché ci sono Comuni che, ahimè, non sono aperti al pubblico, e quindi è tutto gestito online.

(Intervista n. 29 — Operatore Sportello Stranieri Comunale)

 

Per fare domanda avevo bisogno del documento d’idoneità alloggiativa che mi è stato difficile avere perché, in questa pandemia, muovermi da una parte all’altra è difficile e spesso non serve a niente. Infatti, il ricevimento delle persone era limitato negli uffici comunali, e allora dovevi fissare degli appuntamenti, che però spesso erano fissati molto in là nel tempo; quando arrivavi, poi, mancava un foglio, e dopo ne mancava un altro…

(Intervista n. 32 — Migrante di origine ecuadoriana, permesso per assistenza minori)

 

Oltre a questi aspetti di tipo procedurale, la pandemia pare avere influenzato, più in generale, il clima ed il “campo di opportunità” in cui si è svolta. L’impatto dell’emergenza sanitaria sul mercato del lavoro è stato (e sarà) serio[48] ed i dati a disposizione evidenziano come ad esserne particolarmente colpiti siano stati proprio i cittadini stranieri[49]. Il tema dell’incertezza e della precarietà occupazionale emerge infatti in molte delle interviste raccolte:

 

Se ci fossimo ritrovati in una condizione, tra virgolette, “normale”, quindi senza la pandemia in corso, quasi sicuramente si sarebbero riusciti a raggiungere degli obiettivi migliori. Ma con la pandemia anche il migrante che cerca una regolarizzazione ha come obiettivo principale quello di mangiare […] La sanatoria passa in un secondo piano, se vogliamo

(Intervista n. 20 — Membro di organizzazione etnico-religiosa)

 

Come rivelato da diverse interviste, molti sono stati i migranti che, a causa della pandemia, hanno perso il lavoro trovandosi così sprovvisti di un requisito fondamentale o, comunque, nella situazione di dover far fronte a bisogni più impellenti di quella di cercare un lavoro “idoneo”, impresa peraltro difficile in un simile momento di crisi.

 

Tante persone cercavano di fare questa sanatoria. […] Ma tanta gente non è riuscita a farla per il problema del COVID, perché la gente che è rimasta senza lavoro poi doveva cercarsi un altro lavoro, trovare qualcuno disposto a fare un contratto di lavoro. Quello è stato un caos per la gente come me.

(Intervista n. 23 — Migrante di origine salvadoregna, richiedente asilo)

 

La sanatoria è uscita in un periodo molto difficile, nel senso che tante persone hanno perso il lavoro, parliamo anche di colf e di badanti, e alcune persone quando hanno chiesto di essere assunte per entrare in questa sanatoria sono state magari lasciate a casa, perché i datori di lavoro non ne volevano saper niente, ci sono anche questi casi qua.

(Intervista n. 20 — Membro di organizzazione etnico-religiosa)

 

Il clima economico non favorevole non ha certo contribuito, come la precedente intervista segnala, a rafforzare la posizione di lavoratori irregolari e privi di permesso di soggiorno, già soggetti, come illustreremo nel prossimo paragrafo, all’ampia discrezionalità dei propri datori di lavoro nel “concedere” o meno la regolarizzazione e alle logiche di dipendenza e ai “punti ciechi” implicati dal modo in cui il provvedimento è stato congegnato.

[48] L’OCSE (2020) ha ad esempio stimato che la pandemia abbia comportato la perdita di più di 1 milione di posti di lavoro nel 2020 in Italia. (OCSE. Employment Outlook 2020: Worker Security and the COVID-19 Crisis. 2020. https://www.oecd-ilibrary.org/sites/1686c758-en/index.html?itemId=/content/publication/1686c758-en)

[49] L’ISTAT (2020) evidenzia, in questo senso, che il tasso di occupazione dei cittadini stranieri, fino al 2019 ancora superiore a quello degli italiani (+2,4 punti), scende al di sotto del valore degli autoctoni (-0,6 punti (https://www.istat.it/storage/rapporto-annuale/2020/Rapportoannuale2020.pdf)

Come in altri programmi di emersione varati in passato, anche in questo caso l’opportunità di ottenere un permesso di soggiorno da parte di un/a migrante irregolare o legalmente precario dipendeva dalla disponibilità (oltre che dall’“idoneità”) di un datore di lavoro. È risaputo che tanto il settore agricolo quanto quello domestico siano cronicamente caratterizzati da elevati livelli di lavoro nero o grigio, svolto (anche, ma non esclusivamente) da cittadini di origine straniera privi di permesso di soggiorno[50]. Altrettanto note sono la difficoltà a sottoporre a forme di controllo sistematico questi particolari settori dell’economia sommersa, così come la complessità nell’intercettare e denunciare le forme di sfruttamento che li caratterizza. È dunque lecito chiedersi quali opportunità i datori di lavoro intravedessero e quali logiche adottassero nell’aderire ad un programma caratterizzato, come abbiamo visto, da costi diretti e indiretti non irrilevanti.

 

Secondo diversi osservatori, la sanatoria/emersione non ha rappresentato un elemento di particolare interesse in quei segmenti del settore agricolo (e affini) toccati da forme particolarmente gravi di sfruttamento, in cui il confine tra economia sommersa e criminale è particolarmente “labile”.

 

Quando tu vai in alcuni ambiti di grandi appezzamenti di terreno, dove c’è una grande presenza di lavoratori, ma chi ci va a controllarli? Cioè quando tu vedi queste distese enormi, la possibilità di omettere è enorme, cioè quindi anche il fatto dei controlli che oggi sembra quasi dimenticato, invece è assolutamente fondamentale.

(Intervista n. 7 – Rappresentante Sindacale)

 

Io penso che chi voleva esercitare una certa forma di potere, a luglio, abbia detto: “[…] non mi interessa una sanatoria”, anche perché un emigrante preferisce guadagnare tre euro in nero che non guadagnarli affatto. Quindi forse occorreva sia dare una prospettiva diversa nelle modalità di accesso alla sanatoria sia nel monitoraggio […] di queste realtà […] prevalentemente nelle regioni centro sud, che forse non c’è stato.

(Intervista n. 8 — Operatore presso associazione nell’ambito dell’immigrazione)

 

Gli oneri (peraltro, come abbiamo visto, non del tutto chiari) sia economici che burocratici hanno rappresentato un altro potenziale fattore de-motivante:

 

So di molti che si sono tirati indietro, perché comunque i cinquecento euro e tutto quello che è la gestione della pratica avviata dal datore di lavoro può creare delle preoccupazioni”

(Intervista n. 28 — Datore di Lavoro)

 

Tanti datori di lavoro non erano sicuri di fare tutto questo casino perché alla fine sappiamo che c’è da darsi da fare: mandare la documentazione, fare questo, fare l’altro, quindi ci sono state un po’ di difficoltà, diciamo.

(Intervista n. 20 — Membro di organizzazione etnico-religiosa)

 

Questo rapporto impari – che si innesta sul più forte interesse del lavoratore che del datore di lavoro nella sanatoria – ha dato luogo a numerose distorsioni, tra cui, come già anticipato, la non rara “richiesta” del datore di lavoro al lavoratore di “compartecipare” al costo (contributivo e previdenziale) della sanatoria. Fino al momento di definitiva chiusura del procedimento e del rilascio del permesso di soggiorno (qualcosa che, come vedremo, sta richiedendo mesi), l’eventuale licenziamento o la mancata conclusione del contratto di lavoro promesso implica il rischio di perdere questa opportunità.

 

Proprio il timore di una situazione di eccessiva dipendenza ha, ad esempio, convinto questa richiedente asilo a non fare domanda (pur avendone i requisiti):

 

Loro [i datori di lavoro, n.d.a.] volevano aiutarmi, ma alla condizione di lavorare fissa. Ma se io il giorno dopo trovavo un altro lavoro pagato meglio, potendo anche fare la mia vita? Cosa potevo fare?

(Intervista n. 25 — Migrante di origine salvadoregna, richiedente asilo)

 

Come emerge dalle parole di Gloria, la sanatoria è spesso concepita dai datori di lavoro (e dai lavoratori) come un “aiuto”, un gesto di generosità, offerto perché il lavoratore “se lo merita”, come ben emerge anche dalle parole di questa datrice di lavoro:

 

L’ho fatto per lei, per la ragazza perché mi sembrava che se lo meritasse, perché avendone anche viste tante, nella mia carriera, ho detto: “Questa proprio se lo merita.”

(Intervista n. 33 — Datore di lavoro)

 

I datori di lavoro diventano quindi arbitri importanti delle traiettorie legali e di vita dei loro dipendenti[51]. Una relazione di “patronage” che non è sempre vissuta con agio:

 

È brutto da dire, però chi viene sanato si sente come se gli stessi facendo un favore […] le persone si sentono in dovere di ringraziarti […] si innescano questi meccanismi dove tu sei, fra virgolette, “il bianco che ha potuto aiutare” sanando un’altra persona. Purtroppo, è così. (Intervista n. 45 — Datore di lavoro)

 

Secondo alcuni osservatori, è proprio la particolare natura del rapporto domestico – più spesso caratterizzata da legami di conoscenza reciproca a causa della talvolta prolungata condivisione di tempi e spazi legati all’intimità — a spiegare la prevalenza di domande in questo settore:

 

La sanatoria, per come è stata pensata, ha bisogno di una notevole prossimità tra il datore di lavoro ed il migrante. Ci sono tante persone che sono anni che sostengono questi contratti in nero oppure sono disposte, perché conoscono la persona per altri motivi, a fare quest’operazione, diciamo, in modo “amichevole”. L’agricoltura, per la natura del lavoro, non crea questo tipo di relazioni personali, per cui si mettono in gioco fiducia e affetto.

(Intervista n. 13 — Operatore presso associazione nell’ambito dell’immigrazione)

 

In realtà, non possiamo escludere che la preponderanza dei rapporti di lavoro domestici nella recente sanatoria possa anche essere spiegata (come del resto già accaduto in passato[52]) dall’esistenza di contratti di lavoro fittizi attivati – per denaro o per solidarietà – nei confronti di chi non fosse riuscito/a a trovare spazio nelle maglie strette del provvedimento. Questo aspetto, se letto alla luce di una misura che, per come congegnata, lascia esclusivo margine di manovra e controllo al datore di lavoro rischia di aprire molteplici profili di rischio, abuso e vulnerabilità.

 

Innanzitutto, a rinforzare il carattere “concessorio” della regolarizzazione (entro il “comma 1”) contribuisce il fatto che, qualora un lavoratore che si trovasse effettivamente impiegato presso un datore di lavoro “idoneo” non avrebbe avuto modo di costringere il proprio datore a fare domanda a suo favore. Infatti, anche qualora (caso già di per sé tutt’altro che scontato) il lavoratore irregolare fosse disposto ad avviare una vertenza, ciò non avrebbe automaticamente aperto un’opportunità di accesso alla regolarizzazione:

 

Tutto diventa sempre estremamente complicato, perché l’unica cosa che potrebbe essere fatta è una denuncia da parte del lavoratore, ma il lavoratore tu lo sai perfettamente che ha questo problema della delicatezza della propria posizione, che spesso e volentieri non lo rende libero nel poter avere un rapporto alla pari.

(Intervista n. 7 – Rappresentante Sindacale)

 

Siccome i termini sono stretti per la presentazione della domanda di regolarizzazione, probabilmente si arriverebbe ad una conciliazione quando i termini della regolarizzazione si sono chiusi: non è che puoi presentare ex-post una domanda per quel lavoratore che non è riuscito ad entrare nella regolarizzazione perché il suo datore di lavoro non voleva.

(Intervista n. 5 – Operatore Sindacale)

 

Inoltre, la preparazione e l’invio della pratica (così come le successive comunicazioni) coinvolgono ed avvengono tra datore di lavoro e pubblica amministrazione, rischiando così di generare dei “punti ciechi” in cui i migranti rischiano di trovarsi “incastrati”. I lavoratori spesso non sanno (e non hanno modo di sapere) se i datori di lavoro rispettano i requisiti di reddito richiesti, se questi stiano (eventualmente) facendo domanda anche per altre persone, se abbiano (effettivamente) pagato il contributo di 500 euro: contributo che, peraltro, sono tenuti a presentare per riuscire ad iscriversi al sistema sanitario nazionale.

 

La procedura era strutturata in una maniera tale che una persona poteva anche trovarsi nella condizione in cui era convinta che il datore di lavoro avesse fatto la domanda, ma non poteva averne prova […]. Perché l’invio telematico era del datore di lavoro, magari anche attraverso il patronato. Se non c’era la correttezza di dire: “Ti do in mano la ricevuta” c’era poco da fare. (Intervista n. 3 — Operatore Sportello Stranieri Comunale)

 

Per quanto alcune realtà associative e del terzo settore abbiano tentato di compensare questa asimmetria informativa tramite specifiche strategie (ad esempio, convocando sia il datore di lavoro che il lavoratore e mettendo entrambi a conoscenza degli esiti delle procedure di screening volte a verificare l’”idoneità” di entrambi) in linea teorica la procedura avrebbe potuto esser inviata senza prevedere alcuna forma di coinvolgimento della parte non soltanto più debole ma, come abbiamo visto, anche sotto molti aspetti più “interessata”.

[50] Ad esempio, i dati Istat stimano al 24% il tasso di lavoro irregolare nel comparto agricolo, della silvicultura e pesca e al 57% quello dei lavori domestici ed assistenza (http://dati.istat.it/)

[51] Cfr. M. Ambrosini, Op.cit. p.1.

[52] Vedi ad esempio: https://www.unimondo.org/Notizie/Sanatoria-2009-quando-la-legge-crea-illegalita-131018

Il procedimento di regolarizzazione avrebbe però potuto consentire al cittadino straniero di superare molte delle limitazioni precedentemente descritte, applicando in autonomia (tramite kit postale). Eppure, il numero piuttosto limitato di domande presentate nell’ambito di questo specifico canale (solo 13.000) lascia intendere che qualcosa abbia complicato, all’atto pratico, la sua accessibilità.

 

Innanzitutto, diversi intervistati hanno evidenziato difficoltà nel dimostrare di aver lavorato in passato in uno dei tre settori previsti. Se questo era relativamente facile nel caso in cui il migrante fosse stato precedentemente titolare di un permesso di soggiorno (poi scaduto) ed avesse lavorato in regola, dimostrare la (passata) sussistenza di un rapporto di lavoro irregolare poteva invece risultare assai più complesso.

 

Come rivela questa testimonianza, il caso più “semplice” comunemente osservato era quello di (ex) richiedenti asilo che, avendo alle spalle una regolare assunzione, avessero poi optato per la sanatoria:

 

[Noi] abbiamo avuto tre casi di ragazzi per cui in realtà è stata abbastanza facile la prova, perché ai tempi erano dei richiedenti asilo, quindi con regolare assunzione, poi erano diventati irregolari e hanno così potuto presentare la sanatoria ai sensi del Comma 2. Invece, per un altro caso abbiamo dovuto intraprendere un’azione, fare una denuncia all’Ispettorato del Lavoro, perché questo rapporto di lavoro era in nero e non aveva in mano nulla […] Quindi molto più macchinoso sicuramente.

(Intervista n. 17 — Avvocato presso uno Studio Legale di Milano)

 

Se proprio i richiedenti asilo potevano quindi riporre le maggiori aspettative su questo canale, molte di queste sono però state frustrate da una serie di meccanismi previsti dal testo di legge e dalle circolari che si sono poi susseguite.

 

Da un lato, la necessità, da parte del richiedente asilo di rinunciare alla propria domanda di protezione internazionale per accedere alla sanatoria, la rendeva una scelta particolarmente rischiosa e che, nel caso di un migrante inserito nei circuiti di accoglienza, avrebbe anche implicato la perdita della possibilità di continuare a risiedere presso le strutture:

 

Rispetto a questo secondo canale hanno continuato a dire che i richiedenti asilo dovevano fare rinuncia, con il risultato che tante persone non hanno fatto domanda di sanatoria oppure li hanno indotti a rinunciare alla richiesta di protezione internazionale per accedere alla sanatoria. Il risultato è sia una riduzione di diritti nel secondo caso e, nel primo caso, il fortissimo rischio di intraprendere un percorso che sfocia nell’irregolarità […]. Inoltre, la cessazione della misura di accoglienza, una volta rinunciata la richiesta di asilo, è automatica, quindi c’era anche questo tipo di scelta da fare.

(Intervista n. 13 — Operatore presso associazione nell’ambito dell’immigrazione)

 

Il canale due, inoltre, dava la possibilità di accedere alla sanatoria solo a chi fosse titolare di un permesso di soggiorno scaduto a partire dal 31 ottobre 2019. Cosa si dovesse esattamente intendere per “permesso scaduto” ha rappresentato un punto molto controverso per molti intervistati:

 

Ma quando il permesso è scaduto? Quando ho esaurito anche i sessanta giorni per inviare il kit? Quando io ho fatto domanda ma la Questura non mi ha dato risposta? Cioè la realtà non è mai solo bianca o nera, ci sono tantissime sfumature di grigio che in una descrizione così tranchant non vengono ricomprese.

(Intervista n. 17 — Avvocato presso uno Studio Legale di Milano)

 

A ciò si aggiunge il fatto che, in caso di successo, il richiedente avrebbe ottenuto un permesso per ricerca lavoro di breve durata che avrebbe consentito di trovare impiego esclusivamente nei tre settori contemplati dalla sanatoria. Nel complesso, una garanzia modesta a fronte di rischi tangibili:

 

[Nel] secondo canale, secondo me, l’accesso avrebbe avuto bisogno di una consulenza molto approfondita per capire se era qualcosa veramente di opportuno o se era un percorso che non rischiasse di rivelarsi una trappola. Il richiedente asilo, se fosse riuscito a mantenere la sua attuale richiesta d’asilo, non aveva nulla da perdere. Invece, qualcun altro rischiava di finire in un buco nero in cui, alla fine di questi mesi di attesa occupazione, c’era l’irregolarità.

(Intervista n. 13 — Operatore presso associazione nell’ambito dell’immigrazione)

 

Con questo tipo di criteri, dunque, l’accesso era molto circoscritto e limitato, sia per i richiedenti asilo sia per coloro i quali fossero diventati irregolari per “altre vie”. Inoltre, la scadenza dal 31 ottobre rappresentava un limite temporale molto limitante:

 

[Limitarsi ai casi di permesso scaduto] dal 31 ottobre, significa pescare un numero molto limitato di persone, che però magari non aveva [ancora avuto] esperienza pregressa nel settore. Un richiedente asilo che ha un permesso scaduto dopo il 31 ottobre, difficilmente ha lavorato in ambito domestico, e, se ha lavorato nell’ambito agricolo, ha lavorato talmente in nero da non avere neanche uno scontrino.

(Intervista n. 8 — Operatore presso associazione nell’ambito dell’immigrazione)

 

Questo spiega perché i servizi di intermediazione coinvolti abbiano seguito solo pochissimi casi relativi al “comma 2”:

 

Mi ricordo di una ragazza a cui ad un certo punto abbiamo detto: “Va bene, perché non proviamo a fare il comma 2?” Perché aveva un permesso di soggiorno articolo 31 [tutela minori] scaduto, anzi addirittura neanche scaduto, era scaduto dopo il 31 gennaio, quindi di fatto in proroga, però poi avevamo la circolare che ci diceva che la proroga Covid non era vincolante ai fini del comma 2, quindi, pur avendo chiesto il rinnovo non era ancora arrivato, avendo una precedente esperienza con un datore di lavoro ci si è illuminata la lampadina ed abbiamo detto facciamo il comma 2! Ma di casi così si trovavano sulla punta delle dita, perché se a quella lì le scadeva il permesso di soggiorno metti il 30 luglio, il 1° agosto erano tagliati fuori

(Intervista n. 3 — Operatore Sportello Stranieri Comunale)

 

Il fatto che i migranti potessero autonomamente compilare il kit postale ha poi presentato alcune criticità. Se, da un lato, gli uffici postali non sono sempre stati prontamente “recettivi” dei chiarimenti intervenuti relativamente alla documentazione ritenuta necessaria (in particolare, diverse segnalazioni hanno riguardato uffici postali che, nonostante i chiarimenti sui diversi documenti equipollenti hanno continuato a chiedere il passaporto[53]) la difficoltà nel trovarsi soli davanti alla compilazione di un kit riportante di codici “insidiosi” e non sufficientemente preparati rispetto alla corretta interpretazione dei requisiti richiesti ha portato a degli errori nella presentazione delle domande che ne hanno poi pregiudicato l’esito:

 

Nel caso del comma 2 in teoria era il lavoratore che doveva azionarsi, che però aveva sicuramente bisogno di sostegno tecnico sia nella compilazione del kit, sia nella collezione dei documenti.

(Intervista n. 3 — Operatore Sportello Stranieri Comunale)

 

[Nel kit postale] dovevi indicare che il permesso di appartenenza è 9 e il permesso di richiesta è 99, cioè dovevi predisporre questo modulo e compilarlo, firmarlo, tu, richiedente, e nel kit darlo alle Poste. Ora, alcune Poste ne erano sprovviste, il novanta per cento delle persone non lo sapevano, e quindi se il kit è partito senza quel foglio, viene considerato una richiesta, più o meno legittima, ma impropria, di rinnovo.

(Intervista n. 8 — Operatore presso associazione nell’ambito dell’immigrazione)

 

Per migranti come Paula, la risposta ricevuta – “inammissibile” – rimane, ad oggi, del tutto incomprensibile:

 

Io ho mandato il kit dalla posta e la posta mi ha detto il giorno che dovevo andare in Questura. Quel giorno che sono andata in Questura, mi hanno dato il documento dove diceva che è inammissibile. […] Ho messo il cuore per avere almeno la sanatoria, ma anche quella mi dice inammissibile.

(Intervista n. 23 — Migrante di origine salvadoregna, richiedente asilo)

 

In sintesi, quella aperta dal comma 2 è stata un’opportunità “precaria”, che, per i requisiti richiesti ha potuto coinvolgere un numero estremamente limitato di persone, e che poteva facilmente trasformarsi in una trappola.

[53] Come comunicato nella Circolare Ministero dell’Interno Dipartimento per le Libertà Civili e l’Immigrazione, Direzione Centrale per le Politiche dell’Immigrazione e l’Asilo, 30 maggio 2020.

Nella prima parte abbiamo cercato di tratteggiare le aspettative che i migranti hanno riposto nella regolarizzazione: un momento cruciale per uscire dalla “gabbia” dell’immobilità (geografica e sociale), per ricongiungersi a familiari dopo anni di separazione, per liberarsi dalla paura, dall’ansia e dall’incertezza che deriva dall’irregolarità e dalla precarietà legale. Non può quindi sorprenderci che l’esclusione di alcuni dalle maglie di questo provvedimento abbia innescato (sia da parte dei migranti che dei loro datori di lavoro) delle strategie di “sopravvivenza” volte al colmare il gap tra la realtà ed il modello “ideale” e, sotto molti aspetti, irraggiungibile, delineato dal provvedimento di legge. Tali strategie rischiano però, come vedremo, di rivelarsi dense di insidie.

 

Quello dei contratti di lavoro (e delle certificazioni: dalle dichiarazioni di ospitalità alle idoneità abitative) fittizi è un tema che ciclicamente si ripropone ad ogni provvedimento di regolarizzazione[54]. È però un fenomeno complesso ed articolato, guidato da logiche che non sono sempre (ed esclusivamente) riconducibili alla semplice “truffa” o alla stipula di “contratti fraudolenti”.

 

Diciamo che come in ogni regolarizzazione, ma in questa in modo particolare, le restrizioni che sono state congegnate, invece di limitare la truffa, hanno aperto una grandissima falla dove si sono inseriti, a mio avviso, da una parte molti truffatori, dall’altra molte persone che avevano un legittimo lavoro in regola e hanno dovuto inventarsi una soluzione per regolarizzare la propria posizione in Italia.

(Intervista n. 5 — Operatore Sindacale)

 

Certamente, il “mercato” – di documentazione ed informazioni nell’ambito di più o meno “istituzionalizzati” circuiti di intermediazione che vanno dalle reti informali alle agenzie – è ben noto a chi da anni si occupa di fornire supporto ai migranti:

 

Un conoscente è andato in un CAF per fare la sanatoria ad un’altra persona, e, dato che la persona aveva un reddito elevato, la persona del CAF gli ha subito proposto: “Fai la sanatoria per questo tuo amico, io ti do cinquemila euro e la fai anche per un altro!”

(Intervista n. 5 — Operatore Sindacale)

 

La sanatoria noi l’abbiamo fatta in modo lecito, detto ciò, potevamo tranquillamente, non lo nego, lucrarci tanto, come han lucrato tante altre persone in questo periodo. Sono anche venute da me persone disperate dicendo di iniziare l’assunzione a tutti i costi, dicendomi che sono anche disposte a pagare.

(Intervista n. 44 — Responsabile di una società di intermediazione domanda-offerta nel settore di cura)

 

Altrettanto noto è l’ampio margine di incertezza e di rischio che queste strategie comportano, amplificati dai “punti ciechi” nella procedura precedentemente illustrati.

 

Quello zoccolo di assunzioni fittizie fatte con approfittatori e speculatori sicuramente porterà a dei rigetti, perché la persona — ma questo è capitato sempre — quando riceverà la convocazione, si ritroverà da sola allo sportello unico per l’immigrazione, senza essere accompagnata dal presunto datore di lavoro, che non solo l’ha fatta per lui, ma l’ha fatta probabilmente anche per altre persone, ha guadagnato soldi da ogni persona e si guarderà bene dal presentarsi in sede di convocazione.

(Intervista n. 5 — Operatore Sindacale)

 

Il tema dei contratti fittizi non si esaurisce però nella dimensione della truffa e del mercato. Le fattispecie previste dal provvedimento di regolarizzazione hanno infatti portato ad alcuni esiti paradossali: chi – se titolare di un permesso “precario” – risultasse già regolarmente assunto nei settori previsti dalla sanatoria non avrebbe potuto accedere al comma 1, essendo questo destinato esclusivamente all’emersione o all’instaurazione ex-novo di contratti di lavoro (in specifici settori). Ciò ha innescato delle manovre “strategiche” quali la variazione contrattuale o le dimissioni del lavoratore che veniva successivamente riassunto ai fini della sanatoria:

 

Un mio cliente aveva alle sue dipendenze due richiedenti asilo già da tre anni, avevano la busta paga e tutto, quindi dal punto di vista letterale non rientravano nel dettato della norma, perché ovviamente erano già in regola. Quindi l’unico modo […] è stato proprio quella della modifica contrattuale. Questo può avere conseguenze in senso positivo, ma a volte in senso negativo, svantaggioso per il dipendente, che magari da un tempo pieno si è visto passare ad un parziale, però con questa modalità ha potuto accedere a una sanatoria.

(Intervista n. 42 — Avvocato presso uno Studio Legale di Como)

 

Noi abbiamo prospettato la possibilità di fare questa domanda di sanatoria con delle variazioni a livello contrattuale, con delle innovazioni che sono ammesse dalla legge per contratti già in essere. Quindi non si va a negare quello che è stato fino a quel momento, ma si dice che dal momento della presentazione di domanda di sanatoria il quadro è cambiato, ad esempio, con un aumento di ore, con un aumento dello stipendio, con una variazione di una qualche condizione nel contratto.

(Intervista n. 17 — Avvocato presso uno Studio Legale di Milano)

 

A ciò si aggiungono i casi di chi, avendo alle dipendenze un lavoratore impiegato in regola ma nei settori “sbagliati”, ha “scelto” di contrattualizzare ex-novo il proprio dipendente come domestico, al solo scopo di garantirne l’accesso alla sanatoria.

 

È interessante il fenomeno dei datori di lavoro che avevano alle proprie dipendenze dei camerieri, pizzaioli eccetera e che, pur di regolarizzarli, hanno comunque fatto delle assunzioni fittizie come lavoratori domestici in modo da fargli avere un permesso di soggiorno e finalmente tornare ad assumerli per ciò che già fanno regolarmente.

(Intervista n. 5 — Operatore Sindacale)

 

Mi è capitato il datore di lavoro tipografo, che si era rivolto a me per la sanatoria e io gli ho detto che assolutamente non c’era alcuna possibilità per il tipo di attività che svolgeva, e lui mi ha detto: “Ma no, avvocato, io mi sono informato, se l’assumo come badante…”. E così hanno fatto, se lo sono assunto come badante!

(Intervista n. 42 — Avvocato presso uno Studio Legale di Como)

 

Questo aspetto si interseca con la dimensione di amicizia e affetto che spesso lega cittadini stranieri irregolari (o con permessi deboli) ed i loro datori di lavoro in ambito domestico e di cura. Ci sono stati segnalati, ad esempio, diversi casi di datori di lavoro che, per consentire al proprio lavoratore di accedere alla sanatoria hanno aumentato le ore di lavoro “sulla carta”, anche nella prospettiva di pagare più contributi:

 

Io ho una colf, per cinque o sei ore alla settimana, è irregolare ma mi piace. Ci sarebbe la volontà di instaurare un rapporto regolare, ma sei ore alla settimana non sono sufficienti per e quindi, anche se non posso, io datore di lavoro, farle fare più ore, perché non ne ho bisogno o non me lo posso permettere, la solidarietà mi ha fatto dire: “D’accordo, facciamo che tu lavori sei ore e figurativamente sono venti.”

(Intervista n. 8 — Operatore presso associazione nell’ambito dell’immigrazione)

 

Qui emerge un aspetto positivo delle relazioni di lavoro, quando l’aver sviluppato legami di affetto (o come dice l’intervistata, di aver trovato “persone che ti vogliono bene”) ha portato alcuni datori di lavoro a sopperire all’indisponibilità di altri:

 

Alcuni se lo sono fatti fare come da privati, da persone che ti vogliono bene. Magari poi c’è una persona che fai cinque ore, ma non ti ha aiutato lei, ma ti ha aiutato uno per cui ne facevi due.

(Intervista n. 16 — Membro di organizzazione etnico-religiosa)

 

In questi casi, dunque, i contratti non sono stipulati sulla base di logiche puramente economiche, ma seguono anche motivazioni derivate dall’amicizia, dall’affetto, dall’amore e dalla solidarietà. Questi legami possono anche nascere in contesti (quali ad esempio Chiese, associazioni…) in cui si esprimono forme di solidarietà più o meno organizzata. In questi casi, i rapporti sentimentali o di amicizia che legano le persone fanno sì che questi facilitino l’instaurazione di contratti di lavoro al fine di permettere che le persone possano accedere alla sanatoria.

 

Uno di questi casi riguarda Luigi, che ha stretto amicizia con Alfredo, un cittadino straniero titolare di permesso per richiesta asilo, nell’associazione dove fa volontariato, e che avendo bisogno di un aiuto in casa ha avviato la procedura di regolarizzazione nel primo canale.

 

Ho fatto una pratica anche per me stesso, perché conoscevo una persona che era un richiedente asilo e che aveva bisogno di lavorare e quindi, diciamo, io avevo bisogno di una persona che mi aiutasse perché c’ho un’età, c’ho una casa grande; una persona che mi potesse aiutare anche nelle pulizie di casa o quello che mi serviva, e quindi le due necessità si sono incontrate.

(Intervista n. 26 — Operatore presso associazione nell’ambito dell’immigrazione)

 

Un altro caso ci è stato raccontato da Sofia, membro di un’associazione religiosa che accoglie principalmente persone immigrate. In questo caso, l’amicizia tra una signora italiana e un cittadino straniero ha permesso la regolarizzazione:

 

Una signora so che l’ha assunto e lei ce l’ha in casa, cioè gli dà lavoro lei. Non gli dà tanto lavoro, però quelle due ore che lui riesce finché non si sistema bene. Perché poi tra l’altro questa persona non parla bene l’italiano, quindi lei gli sta insegnando l’italiano, gli sta insegnando a lavorare e dice: “Speriamo che quando trovi, ti troverai bene e saprai già gestirti da solo.”

(Intervista n. 16 — Membro di organizzazione etnico-religiosa)

 

Da queste azioni non sono, peraltro, escluse logiche più “politiche”. Infatti, ci sono datori di lavoro che dichiarano che la determinazione a regolarizzare i cittadini stranieri deriva anche dalla consapevolezza delle ingiustizie che regolano l’arrivo e la vita in Italia dei cittadini immigrati. In questo senso, sembra emergere anche una logica più o meno evidente ed esplicita di disobbedienza civile:

La solidarietà è sempre un’azione un po’ politica, no? Perché viene a sostituire un’inefficienza dello Stato, no?

(Intervista n. 21 — Operatore presso associazione nell’ambito dell’immigrazione)

La procedura di regolarizzazione si è conclusa il 15 agosto 2020. Dopo aver superato gli ostacoli di cui abbiamo cercato di dare conto in queste pagine, i richiedenti stanno facendo i conti con un’attesa che si sta rivelando assai più lunga del previsto. A molti mesi dalla scadenza del termine, infatti, la stragrande maggioranza dei richiedenti è ancora in attesa di convocazione da parte delle amministrazioni[55]. L’ultima comunicazione ufficiale data dalle istituzioni ad alcuni nostri intervistati, dava conto, nel mese di aprile, di solo 2.169 pratiche “istruite” (su 26.127) a Milano e provincia, a fonte del rilascio di poche centinaia di permessi di soggiorno. La complessità dei requisiti richiesti, la situazione determinata dal Covid, e la cronica mancanza di personale negli uffici preposti lasciano intendere una tempistica di valutazione delle domande che potrebbe risultare anche superiore a quella, già elevata, delle sanatorie passate.

 

Il prolungarsi dell’attesa sta però avendo delle ricadute importanti sulle persone in attesa di permesso.

Le interviste, in questo senso, hanno già mostrato i primi rischi a cui le persone possono andare incontro in questo “limbo”. Questi hanno a che fare, innanzitutto, con l’incertezza lavorativa, un tema che va letto alla luce delle dinamiche innescate dall’impatto della situazione sanitaria in corso.

 

Penso che l’attesa per avere il permesso sarà lunga. Questo ha dei rischi, perché la situazione economica influisce tanto. Infatti, se tante persone stanno lavorando in casa, il datore di lavoro tra poco potrà magari licenziarle, in questo momento di difficoltà.

(Intervista n. 19 — Operatore presso associazione nell’ambito dell’immigrazione)

 

Nel tempo, cresce il numero di datori di lavoro le cui esigenze sono nel frattempo cambiate o venute meno (ad esempio, a causa della morte degli anziani o del loro ricovero in ospedali o case di cura, o della perdita del lavoro da parte del datore stesso). Le circolari lasciavano intendere che il rilascio di un permesso di soggiorno per attesa occupazione a seguito della perdita del lavoro durante la procedura della sanatoria, sarebbe avvenuto solo in caso di forza maggiore (come, ad esempio, a causa del decesso del datore di lavoro). In caso di perdita del lavoro per altri motivi, invece, sarebbe stato a discrezione del prefetto il rilascio di tale permesso. Tale orientamento era particolarmente ben espresso nella circolare del 21 aprile 2021, che ha, in questo senso, ricevuto feroci critiche da parte di numerose organizzazioni[56].

Va inoltre tenuto conto del fatto che non sempre i datori di lavoro in attesa di convocazione hanno prontamente formalizzato l’assunzione. La mera dichiarazione di una generica volontà di assumere era infatti un’opzione esplicitamente prevista dal provvedimento, e che molti datori avevano preferito alla dichiarazione di emersione di un rapporto già in essere (anche a causa, come già precisato, dell’incertezza contributiva derivante da questa opzione). Come ben emerge dalle parole di questo intervistato, ciò rischia di avere pesanti ricadute sui lavoratori:

Quasi tutti hanno scelto di far partire il rapporto di lavoro [regolare] solo dopo la convocazione in Prefettura. Quindi, questo poi chiaramente ha avuto delle conseguenze rispetto al lavoratore, che non è tutelato sia dal punto di vista contributivo sia dal punto di vista della malattia e di altri eventi.

(intervista n. 5 — Operatore Sindacale)

 

Fino al momento del rilascio del permesso di soggiorno, il lavoratore sperimenta quindi una situazione di dipendenza dal datore di lavoro, da cui dipende il destino della sanatoria e che rischia di accrescerne la vulnerabilità e la ricattabilità.

 

Sotto questo punto di vista, l’11 maggio 2021, sono emersi segnali meno restrittivi. Con un’altra circolare, il Ministero dell’Interno ha, infatti, rivisto in senso più estensivo i criteri di attribuzione del rilascio del permesso per attesa occupazione per coloro che avevano fatto domanda nel settore domestico e dell’assistenza (e precedentemente nel settore agro-alimentare), dando la possibilità di ottenerlo indipendentemente dalle ragioni alla base della conclusione del rapporto di lavoro e, nel caso di subentro di un nuovo datore di lavoro, anche quando quest’ultimo non faccia parte del nucleo famigliare del datore di lavoro che ha iniziato la procedura.

 

Anche la definizione delle modalità di accesso al sistema sanitario nazionale dei richiedenti in attesa di convocazione ha richiesto mesi[57], accrescendo la sensazione di confusione e disorientamento, oltre che pregiudicando la logica della sanatoria, originariamente pensata anche come strumento volto ad estendere – a garanzia di tutti – la copertura sanitaria a fronte di rischi che per i lavoratori stranieri, sono particolarmente concreti e tangibili:

 

Io se prendo il Covid, cosa faccio? È un dubbio perché tu non sai che cosa fare, se vai in un ospedale, cosa ti aspetta là? Non ce l’hai un medico di base, quindi devi andare all’ospedale…

(Intervista n. 35 — Migrante di origine salvadoregna, richiedente asilo)

 

Adesso c’è in ballo anche il discorso della tessera sanitaria […] Io ho sempre inviato questi ragazzi ad Emergency, oppure alle realtà tipo Caritas, San Francesco… Perché non hanno il medico curante, insomma, sono privati di diritti, e adesso bisogna vedere cosa succederà con la storia dei vaccini…

(Intervista n. 39 — Migrante di origine salvadoregna, richiedente asilo)

 

A ciò si aggiunge un altro motivo d’incertezza, cioè il fatto che questo lungo tempo di attesa per la convocazione avviene nel contesto della campagna vaccinale di contrasto al Covid-19. Questa circostanza rappresenta una questione particolarmente urgente per persone anziane o fragili, o che lavorano con esse. Durante i presidi in varie città italiane, migranti, associazioni e sindacati hanno portato in primo piano questo problema in materia di salute pubblica e hanno chiesto attenzione all’inclusione dei “richiedenti sanatoria”, e dei migranti in generale, nel piano vaccinale[58]. Anche se i richiedenti sanatoria hanno formalmente il diritto di iscriversi al sistema sanitario nazionale[59], e con ciò alla campagna vaccinale, l’esempio di Milano mostra che, a fine aprile, su oltre 20.000 richiedenti erano state rilasciate solo 6.776 nuove tessere sanitarie, di cui 465 provvisorie.

Questo suggerisce che anche se formalmente garantiti “sulla carta”, l’accesso concreto ai diritti rimane sotto diversi aspetti problematico, come ben chiarito da questo intervistato:

RISPOSTA: L’assistenza sanitaria e quindi la vaccinazione è stata sbloccata quindi adesso è possibile prenotarsi per il vaccino anche col codice fiscale provvisorio […] Ma se questo è quello che succede a Milano e provincia, non vuol dire che sia quello che sta succedendo nel resto d’Italia […] Anche a livello lombardo so che ci sono stati problemi per il rilascio della tessera sanitaria in alcune province. […] Lo abbiamo visto bene nel caso delle circolari nei confronti delle ATS… non è che sia così facile far valere una circolare! Ad esempio, con una ricevuta di sanatoria, che non è nemmeno una ricevuta di permesso, essere assunti da un nuovo datore non è così scontato… Di fatto è una stampata in A4 dove c’è scritto che qualcuno ha presentato una richiesta di regolarizzazione per te. Il datore di lavoro dice sì ok, ma io che ne so che è ancora valida, che non è stata rigettata…

INTERVISTATORE: Ti vengono in mente altre questioni di questo tipo che sono rimaste in sospeso e che stanno causando disagio?

RISPOSTA: Beh, sicuramente la possibilità di potersi vedere accreditato lo stipendio sul conto corrente. Sembra banale però è una delle questioni più rilevanti perché, per esempio, si fa difficoltà a pagare le persone regolarmente. Dopodiché, le persone sono bloccate qui… per carità, è vero che in questo periodo c’è una limitata predisposizione agli spostamenti… Di fatto sei in un limbo: né completamente regolare né completamente irregolare.

(intervista n. 5 — Operatore Sindacale)

 

Così, il prolungamento dell’attesa implica il prolungarsi di una zona “grigia”, in cui alcuni diritti (quali quello al lavoro o alla salute) sono estremamente deboli e precari. L’attesa per un permesso che è vissuto con tanta attesa è frustrante e pone le persone intervistate in una situazione di forte stress:

 

Eh sì, sono molto ansiosa adesso; però, credo che sia normale, siamo tutti così, perché beh, non sappiamo se è sicuro, […] i miei documenti dove stanno, come… non sappiamo.

(Intervista n. 41 — Migrante di origine salvadoregna, richiedente asilo)

 

Come affermato nella prossima intervista, questa attesa, poi, è vissuta come un’ingiustizia; il venir meno di un “patto” tra il lavoratore e lo Stato:

 

L’attesa è disperante, […] non è facile, uno sta pagando i contributi, ha fatto la sua parte, e invece loro fanno come proprio non gliene fregasse niente. […] Hanno preso i soldi, cinquecento euro, e se ne sono lavati le mani. Chissà quando gli verrà la voglia di cominciare… Uno sta senza la tessera sanitaria, uno non può fare questo, uno non può far quello, e allora non è giusto, non so se questa è la parola giusta, non è giusto quello che sta succedendo

(Intervista n.32 — Migrante di origine ecuadoriana, permesso per assistenza minori)

 

Infine, l’attesa, in tempi di pandemia, porta anche a scelte difficili, oltre che stressanti. Durante l’attesa, infatti, i migranti non possono lasciare il Paese: per alcuni di essi, che hanno famigliari in condizioni di salute precarie, ciò significa, ad esempio, trovarsi di fronte alla scelta tra continuare la sanatoria e assistere familiari malati o morenti nel Paese di origine.

[55] Ero Straniero. Regolarizzazione 2020 a rischio fallimento: tempi lunghissimi e ostacoli burocratici. Alcune proposte per “salvare” una misura necessaria. (https://erostraniero.radicali.it/wp-content/uploads/2021/03/Report-monitoraggio-regolarizzazione_ERO-STRANIERO.pdf)

[56] ASGI. Illogico e illegittimo impedire la regolarizzazione a chi ha perso il lavoro nelle more della procedura di emersione https://www.asgi.it/media/comunicati-stampa/regolarizzazione-lettera/?fbclid=IwAR1-tLeLRSpp85gIG2eT-CtFPUaW40bsZ_Pqr8xJgjQjrDklGApqUayQO6E

[57] A Milano, il tema è stato oggetto di discussione nell’ambito del Consiglio Territoriale convocato il 28 settembre ed ha portato ad un comunicato della Prefettura volto a chiarire i documenti richiesti per l’iscrizione tra cui, per quanto concerne il comma 1, svariati documenti che devono essere prodotti dal datore di lavoro. Di fatto, quindi, anche il diritto alla salute dei lavoratori emerge come una forma di “concessione”.

[58] https://www.difesapopolo.it/Media/OpenMagazine/Il-giornale-della-settimana/ARTICOLI-IN-ARRIVO/Sanatoria-migranti-presidio-a-Milano-per-i-ritardi-della-regolarizzazione?fbclid=IwAR0wmzn5SIu-g3R2FETJb-1UrjSDhQkOiha71h8bYkNpzM_9XwuTx4P0VI4

Seppur a nove mesi dalla conclusione del procedimento sia ancora troppo presto per valutare appieno gli effetti del recente programma di sanatoria (a causa del lunghissimo tempo che sarà necessario al rilascio dei permessi), i dati commentati in questo rapporto già ci consentono di tratteggiare le principali criticità e inconsistenze che sono affiorate nella misura di “emersione dei rapporti di lavoro” contenuta nel cosiddetto “Decreto Rilancio” (art. 103 del Decreto Legge 19 maggio 2020, n. 34).

 

In particolare, abbiamo evidenziato alcuni limiti, primo tra tutti quello rappresentato dai settori occupazionali, che hanno escluso dalla possibilità di ottenere un permesso di soggiorno per motivi di lavoro molti cittadini stranieri impegnati settori che, sebbene rispondenti a reali esigenze del mercato del lavoro locale, non erano previsti dalla sanatoria, contribuendo alla percezione diffusa di una misura inefficace, oltre che ingiusta.

Abbiamo poi osservato come la richiesta del possesso di specifici requisiti, in capo sia al datore di lavoro che al lavoratore (dalla prova di presenza, all’idoneità alloggiativa), abbia rappresentato per molti potenziali aderenti un rilevante ostacolo da superare, anche a causa dell’incertezza dei criteri di idoneità a cui fosse necessario attenersi. Per molti osservatori, si è trattato infatti di un procedimento di difficile interpretazione non solo per i “semplici cittadini” (datori di lavoro e lavoratori) ma anche per gli intermediari più esperti.

Ci siamo, quindi, concentrati sui costi della procedura e sulla sua complessità. In particolare, abbiamo mostrato come le difficoltà derivanti dal linguaggio burocratico e dalle procedure informatizzate, ulteriormente complicate dal susseguirsi di ripetuti chiarimenti “in corso d’opera”, necessitasse di una capillare e diffusa operazione di “traduzione”, sensibilizzazione e mediazione informativa sul territorio che non è sempre avvenuta con sufficiente efficacia, anche a causa degli ostacoli derivanti dalla situazione pandemica.

Successivamente, sono state illustrate le principali criticità caratterizzanti i due “commi” della sanatoria.

Il “comma 1”, seguendo la logica mutuata da quasi tutte le precedenti sanatorie, acuisce il legame di dipendenza dei lavoratori nei confronti dei propri datori di lavoro, generando dei “punti ciechi” su cui facilmente rischiano di innestarsi forme di sfruttamento e raggiro a danno dei migranti.

Il “comma 2”, pur prevedendo un canale di regolarizzazione potenzialmente autonomo, ha rappresentato (a causa dei meccanismi previsti dal testo di legge e dalle circolari che si sono poi susseguite), un’opportunità insidiosa per i titolari di status “precari” (in special modo, i richiedenti asilo) e, di fatto, una “mancata opportunità” per molti.

Per finire, abbiamo osservato come la richiesta di requisiti e criteri talmente restrittivi da essere spesso, di fatto, irraggiungibili (oltre che sotto molti aspetti illogici e contro-intuitivi), abbia inevitabilmente innescato strategie volte ad aggirare il divario tra “sanatoria e realtà” che, se sono state talvolta sostenute da legami di solidarietà (tra migranti, attivisti, ma anche datori di lavoro), hanno di fatto lasciato spazio all’emergere di numerosi “mercati paralleli” caratterizzati da elevati margini di rischio e profitto.

Nel momento in cui scriviamo, il prolungarsi dei tempi necessari alla conclusione del provvedimento sta, peraltro, drasticamente minando la possibilità di molte persone di riuscire ad ottenere un esito positivo dalla propria richiesta: anche a causa della pandemia, l’instabilità dei rapporti di lavoro (famiglie in crisi che non riescono più a permettersi una lavoratrice domestica, anziani le cui condizioni di salute, peggiorando, richiedono un ripensamento delle soluzioni di cura…) rischia infatti di ripercuotersi con esiti nefasti sulle opportunità di regolarizzazione. Nel “limbo” dell’attesa, poi, l’effettivo godimento di diritti fondamentali per i migranti “legalmente precari” – tra cui in primis il diritto alla salute – rimane lungi dall’essere pienamente garantito.

 

In conclusione, giova ricordare che molti dei limiti segnalati non siano (esclusivamente) imputabili ad un “provvedimento mal congegnato”, ma si pongano in continuità con questioni irrisolte riguardanti il governo dell’immigrazione in Italia, in particolare le politiche che governano l’ingresso legale degli immigrati, e la loro “gestione” susseguente.

Come molti osservano, nel corso degli anni le politiche italiane sull’immigrazione sono state caratterizzate da crescente “rigidità” e scarso “realismo”[60].

Ad esempio, si è assistito alla progressiva riduzione delle opportunità di ingresso legale per motivi di lavoro, che, combinandosi con l’irregolarizzazione imputabile al cosiddetto “decreto Salvini”, ha contribuito ad innalzare le attese per quella sanatoria che, come risaputo, si ripresenta in Italia con una certa ciclicità.

Alcune delle criticità evidenziate da questa analisi, gettano luce, più in generale, sulla complessità derivanti dalla gestione degli status (il)legali, in primis l’accesso (sia da parte dei migranti che dei datori di lavoro) gratuito (o a costi contenuti) ad informazioni certe ed affidabili sulle procedure burocratiche che la “gestione della legalità” comporta. Da più parti è emerso infatti come il campo dei servizi di intermediazione si configuri come un ambito caratterizzato da un’elevata eterogeneità (in termini di attori, costi e competenze) in cui i processi di accreditamento sono estremamente labili e incerti. Se un ruolo importante potrebbero averlo i servizi pubblici, questi però da anni disinvestono sui servizi di intermediazione rivolti ai cittadini stranieri, come affermato da alcuni intervistati a proposito degli sportelli di orientamento comunali. D’altro canto, lo stesso sotto-finanziamento dei servizi pubblici deputati alla valutazione delle richieste (di rilascio e rinnovo dei permessi) è alla radice del cronico e crescente prolungarsi dei tempi d’attesa.

 

Proprio il difficile rapporto tra pubblica amministrazione e cittadini stranieri è un altro tema cruciale.

Questi ultimi, lamentano il mancato supporto (quando non un atteggiamento ostile o discriminatorio[61]) da parte di molti lavoratori impiegati nei servizi pubblici, che adottano prassi e avanzano richieste che appaiono incomprensibili ed irragionevoli. I primi, invece, si ritrovano investiti da richieste inadeguatamente processate che aumentano il tempo necessario alla loro elaborazione e alla presa di decisioni. È su questo terreno che si innesta l’opera di intermediazione ed informativa legale ed amministrativa messa in campo da una galassia di attori – profit e no-profit, pubblici e privati, professionisti e volontari – il cui lavoro sarebbe certamente facilitato da adeguati finanziamenti, da più chiare procedure di accreditamento, e da una più diffusa e capillare “traduzione” di norme articolate e complesse su cui, però, i migranti devono poter essere messi nella condizione di acquisire maggiore consapevolezza. La condizione di costante incertezza, complessità ed opacità che caratterizza questo campo – il caso dell’idoneità abitativa/alloggiativa ne è un tipico esempio – non ne facilita certo il compito.

 

Per concludere, la sanatoria poteva rappresentare – e ha certamente rappresentato, per un numero però tuttora ancora imprecisato di persone – uno strumento volto sia a garantire opportunità di avanzamento, tutela ed inclusione sociale a persone esposte a particolari condizioni di vulnerabilità, sia a rispondere alle esigenze di prevenzione e mitigazione dei rischi legati alla situazione di pandemia.

Nel limitarsi a rispondere ex-post al progressivo contrarsi delle opportunità di ingresso legale per ragioni di (ricerca) lavoro, nessuna sanatoria – a prescindere dalla sua articolazione, più o meno restrittiva, accessibile o complessa – potrà mai risolvere il costante ri-prodursi di fenomeni di irregolarità tra i cittadini stranieri, un’irregolarità prodotta dalla stessa tensione leggibile nella sanatoria tra lo straniero meritevole (in quanto “utile e necessario”) ed lo straniero che, comunque presente, non deportato (o deportabile), partecipa, seppure nell’informalità, alla nostra vita sociale[62] – attraverso il lavoro, la scuola, la socialità, interrogando i servizi e la nostra stessa idea di cittadinanza sempre più frammentata e stratificata, produttrice di disuguaglianze, più che di equità.

[59] Un comunicato della Prefettura di Milano (rilasciato a seguito della discussione avvenuta su questo in Consiglio Territoriale) chiarisce che i documenti necessari all’iscrizione al SSN prevedono, oltre all’eventuale documento di identità e codice fiscale dell’interessato/a, anche la ricevuta di versamento all’INPS del contributo forfettario (di 500 o 130 euro) e copia dell’istanza di emersione, assieme a copia del documento del datore di lavoro (per le domande presentate sul primo canale).

[60] Cfr. C. Corsi. Between declared rigour and actual precariousness: rhetorical profiles of legislation. DPCE Online, v. 45, n. 4, jan. 2021. (http://www.dpceonline.it/index.php/dpceonline/article/view/1208)

[61] Ad esempio, sull’accesso ai servizi di cura in Lombardia si veda il report curato da Naga: Naga. Curarsi (non) è permesso. (https://naga.it/wp-content/uploads/2018/09/Curare-non-e-permesso.pdf)

[62] Su questo punto, vanno segnalate le recenti novità introdotte dal D.L. 130/2020 (il cosiddetto “Decreto Lamorgese”) che si pongono in parziale discontinuità con le politiche sulla gestione dell’immigrazione italiana degli ultimi anni. Questo decreto, riformulando il comma 1.1 ed inserendo il nuovo comma 1.2 nell’art.19 T.U., introduce una nuova fattispecie di divieto di espulsione con conseguente rilascio del permesso di soggiorno per protezione speciale. In particolare, tale fattispecie prende in considerazione e valorizza la complessiva condizione di esistenza del migrante (ad esempio, i legami personali e familiari che ha sviluppato) e i livelli d’integrazione sul piano sociale e lavorativo che è riuscito a raggiungere.

A cura di:

Paola Bonizzoni
Maurizio Artero
Minke Hajer

Università degli studi di Milano (Dipartimento di Scienze Sociali e Politiche)

 

In collaborazione con:

AMMIC
Anolf-CISL Milano
ASSAL
Avv. Benedetta Tonetti
Avv. Pietro di Stefano
Cambio Passo
CUB immigrazione Milano
Dimensioni Diverse
Gruppo Donne Internazionale
Naga
Pastorale Migranti di Como
Sportello legale Nefida – Comunità Nuova
Studio diritti e lavoro – Avv. Livio Neri
Studio legale Avv. Serena Arrighi Como – Osservatorio Giuridico dei diritti dei migranti (Como)
TodoCambia
Ufficio Stranieri Comune di San Donato Milanese

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